Uno dei passatempi preferiti dei cacciatori di frodo festivalieri – critici, pubblico e addetti ai lavori – è il temibile tiro alla Mostra.
Una pratica sanguinaria che si svolge sul finire dell’estate, e che ogni anno prevede la medesima bieca successione di eventi: dopo un periodo di relativa quiete di quasi un anno, l’ignara vittima – che per comodità chiameremo “Direttore Artistico” – esce allo scoperto e migra verso il Lido di Venezia, luogo deputato di una brevissima stagione degli amori della durata di 12 giorni. Lo stoico esemplare di Direttore riuscirà a portare a compimento la propria missione, ma non prima di essere stato spolpato vivo dai sopraccitati predatori a suon di giudizi sommari, feroci reprimende e condanne a scatola chiusa. Alberto Barbera il gioco lo conosce ormai da tre anni, ma continua a non farsene una ragione. La sua più grande colpa è quella di amare il basso profilo, che lo rende invisibile e “umano” (leggi: poco carismatico, per i detrattori), strenuo difensore della semplificazione e consapevole che il cinema è anzitutto Opera d’Arte e ricerca. Salutato dai più come un riempitivo fra il fu Marco Müller e chissà chi, Barbera ha iniziato a cambiare i connotati della Mostra, rendendola sempre meno passerella e sempre più luogo di tangibili aggiornamenti della Settima Arte. Un merito che corrisponde in verità ad una ovvia presa di coscienza, un adattamento alla situazione che le kermesse internazionali tutte stanno vivendo. Data per appurata la polemica di default, Barbera se n’è giustamente fregato, scegliendo come Presidente di giuria il compositore Alexandre Desplat al posto di un cineasta tout court (sacrilegio!) e aprendo le porte ad un programma sghembo e imprevedibile. Il Concorso conta quattro opere francesi (La Rançon de la gloire, Le Dernier coup de marteau, 3 coeurs, Loin des hommes), altrettanti film americani (Manglehorn, Good Kill, 99 Homes, Birdman), tre italiani d’autore (Hungry Hearts, Il giovane favoloso e Anime nere) e un bel po’ di emeriti sconosciuti; riapre al documentario (The Look of Silence, ideale seguito o quasi di The Act of Killing), lancia la bomba Pasolini e grida al miracolo con il turco Sivas dell’esordiente Mujdeci. Paccottiglia o selezione di alto livello? Barbera conosce la risposta: “Il Concorso è inevitabile, ma accessorio. Fosse possibile bisognerebbe abolirlo” (anatema!). Anche perché così si perde di vista il resto della proposta, dal Fuori Concorso agli Orizzonti, dalla Biennale College ai Classici restaurati. La Mostra deve potersi “mostrare”, per farsi capire. Basterebbe solo non impallinarla alla prima occasione, per appenderla come l’ennesimo trofeo di caccia.