Cosa sa il cinema che noi non sappiamo?
Nel corso del denso documentario From Caligari to Hitler, visto nella sezione “Venezia Classici” della 71a Mostra del Cinema di Venezia, ricorre puntuale una domanda: cosa sa il cinema che noi non sappiamo? Se lo chiede la voce fuori campo, mentre sullo schermo scorrono immagini che mettono in relazione l’espressionismo tedesco di Lang, Murnau e Wiene con l’ascesa del Nazismo.
Quando due anni fa iniziò a circolare lo sconvolgente The Act of Killing di Joshua Oppenheimer lo stupore fu per uno spicchio di Storia sconosciuto all’Occidente. In cerca di riferimenti “tangibili” vennero facilmente in mente proprio la Seconda Guerra Mondiale e il genocidio subito dagli ebrei. Cosa sarebbe successo se Hitler fosse rimasto al potere? Senza alcuna revisione, in quali termini parleremmo oggi dello sterminio perpetrato nei confronti di milioni di esseri umani “indesiderati”? La risposta arriva dall’Indonesia e dalla legittimazione della Gioventù Pancasila, tutt’ora al governo: nel biennio 1965-1966 l’esercito depone le autorità di Giacarta e massacra tutti coloro che arbitrariamente vengono ritenuti comunisti e minacce per la nuova dittatura. La potenza di fuoco di The Act of Killing sta nel grottesco e paradossale racconto diretto dei carnefici, che rievocano con esaltazione gli omicidi più efferati, addirittura mettendoli in scena come fossero sequenze di film western o d’azione. Un saggio di banalità del male come mai prima si era visto, orchestrato da Oppenheimer facendo leva sul nostro desiderio di conoscenza, veicolato dalla necessità di continuare a guardare l’orrore, la deformazione e la corruzione senza distogliere lo sguardo. Un’operazione rotonda, completa. Almeno fino alla visione di The Look of Silence, che ci offre una porzione di verità che non avevamo considerato: non più il punto di vista dei colpevoli irredenti, ma quello delle vittime; non più la denuncia delle colpe, ma la ricerca del perdono. Come diastole e sistole di uno stesso sistema, The Look e The Act andrebbero visti insieme, in dittico, parti complementari di un solo percorso di consapevolezza. Osservare l’oculista 44enne Adi che affronta i torturatori e li interroga sulla spaventosa morte del fratello non significa accontentarsi di materiali di scarto – come si è vociferato alla Mostra – ma completare lo sguardo d’insieme, o spingere chi non ha visto The Act of Killing a farlo. E non è solo un privilegio del pubblico festivaliero: grazie alla casa di distribuzione I Wonder Pictures (che ha portato al cinema anche Sugar Man, Stories We Tell, Stop the Pounding Heart) il lavoro di Oppenheimer è e sarà visibile anche in sala. Una menzione necessaria, perché se il cinema conosce ancora storie che ignoriamo c’è anche bisogno che qualcuno queste storie le renda visibili.
The Look of Silence [Id., Danimarca/Indonesia/Gran Bretagna/Norvegia 2014] REGIA Joshua Oppenheimer.
SOGGETTO Joshua Oppenheimer. FOTOGRAFIA Lars Skree. MONTAGGIO Niels Pagh Andersen.
Documentario, durata 98 minuti.