SPECIALE MILANO DA RIDERE
Milano da ridere
Sintetizzando, potremmo dire che molti comici della scuola milanese del Derby prima e dello Zelig poi, tenendo conto delle loro differenze, nel passaggio sul grande schermo abbiano provato a creare una sorta di “terza via” del nostro cinema comico.
I loro film, negli anni Settanta, tendevano a recuperare la tradizione del comico puro messa un po’ nel cantuccio dalla stagione della commedia all’italiana, pur dialogando in certi casi con essa, in una via di mezzo tra “l’alto” dei suoi ultimi fuochi e il “basso” delle commedie scollacciate, chiaramente popolare ma sempre sorretta da un’idea precisa e non necessariamente banale di comicità. Questa non facile classificazione, dai confini liquidi in certi casi con “l’alto” (Pozzetto e Jannacci) e in altri col “basso” (Abatantuono, il quale è comunque stato una delle nostre ultime vere maschere comiche, anche se spesso in opere non all’altezza), ha fatto sì che nella memoria e nella rilettura storica del nostro cinema la corrente sia stata, se non del tutto ignorata, in buona parte sottovalutata o fraintesa, schiacciata dall’egemonia critica della commedia all’italiana e dalla moda della rivalutazione della serie B e C. Col risultato che certi film puramente comici, spesso di un umorismo inedito nel panorama del nostro cinema, sono stati dimenticati (da Saxofone a Sturmtruppen). Questo non si è visto solo nella ricezione critico/storiografica, ma anche nell’evoluzione concreta del genere. Del resto, se vogliamo parlare del declino del cinema italiano negli anni Ottanta, una cartina di tornasole significativa può essere paragonare un film interpretato da Pozzetto (o ancor più da Villaggio) negli anni Settanta con una delle sue fatiche di dieci anni dopo: una comicità sempre più stanca e di maniera, sempre meno cinematografica. Se infatti prima i comici che passavano dall’avanspettacolo e/o dal piccolo schermo al cinema avevano, pur riportando maschere e personaggi già collaudati, l’idea che il cinema fosse comunque un modello “nobile” al quale adeguarsi, lungo gli anni Ottanta e Novanta questa visione si è capovolta, con la progressiva prevalenza dei ripetuti modelli televisivi di riferimento (Tutti gli uomini del deficiente, 1999, ne è un esempio). In un momento in cui i Verdone, i Benigni e i Troisi da un lato hanno scelto di approdare alla commedia intimista o di costume, e dall’altro il cinema comico è stato sempre più dominato dai cinepanettoni e dalla sterile traduzione sul grande schermo di sketch televisivi, i figli dell’ultima grande stagione della scuola milanese, lo Zelig degli anni Ottanta, hanno provato, ancora una volta, anche con la collaborazione di registi come Salvatores (Kamikazen) o Giuseppe Bertolucci (I Cammelli), a tracciare una “terza via”; che però, anche quando ha avuto successo commerciale, non si è dimostrata abbastanza forte, e nuovamente a livello ricettivo è rimasta schiacciata nella tagliola della commedia e del filmaccio pseudo-comico.