SPECIALE JIM JARMUSCH
“Cayuga my ass!”
Ghost Dog è il soprannome del protagonista, un taciturno e solitario killer buddista, un samurai moderno, estremamente rispettoso del codice d’onore, fedele al mafioso Louie, che gli ha salvato la vita in passato.
Le samouraï è il titolo del bellissimo film di Melville a cui chiaramente Jarmusch si rifà qui, non solo nella trama e nell’antieroe esistenzialista, ma anche nei tempi morti, che a dire il vero da sempre caratterizzano il suo cinema di attraversamenti, molto più vicino alle atmosfere raffinate degli autori europei che a quell’America comunque presente, nella fascinazione e nell’esplorazione dei luoghi, da cui i film di Jarmusch non possono prescindere. La città notturna di Ghost Dog, attraversata a piedi o in auto dal protagonista, oppure al centro di inquadrature a volo d’uccello, si fa personaggio, con le sue luci e i suoi vicoli, le case in cui il killer penetra per portare a termine le sue missioni. Una città che, da sempre, è fondamentale nel “crime movie”, macrogenere di cui, con ironia tutta postmoderna alla Tarantino e con la stessa operazione che in Dead Man veniva applicata al western, Jarmusch si fa beffe. L’intento di decostruire un genere a tratti frena la libertà registica e narrativa, costringendo Jarmusch almeno a far finta di seguire dei codici strutturali e a contenere l’ambizione a livello di contenuti. A maggior ragione che Ghost Dog gioca anche con il western, dal personaggio del vecchietto buffo e comico, alla sparatoria-duello finale, in cui il protagonista chiede sarcasticamente all’avversario se per caso sono finiti in Mezzogiorno di fuoco.
Ma Ghost Dog si ricorda ed è diventato oggetto di culto soprattutto per la “coolness” del personaggio principale, un Forest Whitaker nel ruolo della vita. Un orso bibliofilo, impassibile come Takeshi Kitano, cattivo dal cuore d’oro, Ghost Dog stringe amicizia con una bambina, come Frankenstein (ma il libro è meglio del film, dice). L’unico altro amico che ha è il gelataio Raymond, haitiano e francofono, ma parlano due lingue diverse. Il killer, però, è rispettato dalla comunità nera e la colonna sonora, prevalentemente hip hop, di RZA contribuisce a inserirlo, anche musicalmente, nel contesto afroamericano, oltre a definire ulteriormente l’atmosfera metropolitana a cui si accennava sopra. Nelle scene senza dialoghi, il film può risultare un po’ estetizzante, come un videoclip, per la fotografia, i movimenti fluidi della mdp, i ralenti, ma quando compaiono i mafiosi, tutti appassionati di cartoon, lo stile cambia. Ma basta l’inquadratura fissa di Ghost Dog che punta la pistola alla testa di Louie per capire che Jarmusch può passare, con la stessa efficacia, da un’estetica all’altra. Tanto, “nothing makes any sense anymore”.
Ghost Dog – Il codice del samurai [Ghost Dog: The Way of the Samurai, USA/Francia/Giappone 1999] REGIA Jim Jarmusch.
CAST Forest Whitaker, John Tormey, Cliff Gorman, Henry Silva.
SCENEGGIATURA Jim Jarmusch. FOTOGRAFIA Robby Mueller. MUSICHE RZA.
Drammatico/Gangster, durata 116 minuti.