Quando avevo poco più di un decennio nello spirito e nel corpo e man mano che mi approcciavo alla Settima Arte, mia madre soleva dirmi: “Non guardare i film horror che poi non dormi”. Peccato che, per il principio di divieto-trasgressione, con questa asserzione non fece che accentuare la mia curiosità verso il genere (nonostante davvero poi faticassi a convivere con il buio). E fu da allora che, mentre tutte le mie colleghe pre-teen impazzavano per Mtv, cominciai a fruire titoli orrorifici di nascosto, neanche fossero i più beceri film porno.
Il punto non è quale film fu responsabile della mia iniziazione (nel mio caso Scream… ebbene sì) o quanti anni avessi, ma il fatto che venivo così fortemente attratta da un impulso che normalmente dovrebbe spingere lontano: la paura. Ed è proprio la suddetta che ha incendiato negli ultimi anni il dibattito intorno al genere horror, dal quale sono emerse due principali questioni, di cui la prima: “Ma gli horror fanno ancora paura?”. La mia risposta non può che essere affermativa. Non sempre, non come una volta, ma sì. “Che palle, sempre queste case infestate”, sento dire continuamente. Il problema, a parere della sottoscritta, è che dobbiamo allontanarci dall’idea che debba essere sfornato sempre qualcosa di nuovo, poiché nel genere horror è praticamente impossibile. Suvvia, pensateci bene: ad oggi non possiamo far altro che appellarci ai terribili crimini commessi dall’umanità, ovvero esattamente ciò che ha alimentato il nostro concetto di “paura”: guerre, terrorismo, l’oscuro, il diverso, e così via. Pensate ad esempio all’ambito culinario: non esiste una continua scoperta di ingredienti nuovi, ma una continua scoperta di originali modi con cui presentare gli stessi. In parole povere: stesso contenuto, diversa forma. Esattamente ciò che ha caratterizzato il successo di prodotti vincenti quali Rec, Hostel, Quella casa nel bosco, e l’insuccesso di prodotti scadenti come ATM, Paranormal Activity 4, L’altra faccia del diavolo. A rifletterci, tutti questi titoli raccontano angosce già esperite, la differenza sostanziale sta in “come” esse vengono raccontate. Secondo e più affascinante dibattito intorno al genere è: “Perché, se ci fanno paura (e magari non sono neanche un granché), ne siamo così maledettamente attratti?”. Ed ecco che mi ricollego all’introduzione: la paura è un elemento presente nel nostro Io fin dalla nascita. Nonostante abbiamo già messo alla prova tutto ciò che si può verificare, l’horror continua a spaventarci (chi più chi meno, certo) e gli incassi sono direttamente proporzionali alla riuscita della loro originalità. James Wan ne è la prova. Nei due Insidious e ne L’evocazione presenta al pubblico un universo mai così tanto conosciuto: case infestate, presenze, porte cigolanti. Il talento lo riserva ad un altro elemento, quanto mai lontano da quello contenutistico: la costruzione della paura. Et voilà, ecco ciò che decreta la sopravvivenza del genere horror. Insomma, qualche spunto su cui riflettere. E chi è intenzionato a fare a botte su Saw, eccomi, sono pronta. D’altra parte, è la discussione intorno al cinema che tiene vivo il cinema stesso.