A ciascuno le sue ragioni
Nella Teheran contemporanea, Nader e Simin, sposati da 14 anni, sono in tribunale per discutere la loro separazione. Simin vuole lasciare il Paese con la figlia Termeh per concederle l’opportunità di avere un futuro migliore, ma il padre di Nader è malato d’Alzheimer e lui non se la sente di abbandonarlo alla malattia.
Sbattuta tra le ragioni materne e le motivazioni paterne, Termeh, appena dodici anni, fa il possibile per tenere unita la famiglia. Dosa le parole, quando non tace interdetta. E osserva il dramma che si consuma dinnanzi ai suoi occhi: a madre che torna a stare con i genitori; la conseguente e incauta assunzione di Razieh, donna estremamente religiosa, quale badante dell’anziano genitore; la difficoltà di Nader a gestire da solo attività lavorativa, casa e cure paterne. Tuttavia quando un giorno Razieh abbandona improvvisamente l’anziano malato in casa solo la vicenda volge in tragedia, trascinando tutti davanti alla legge.
In una trama semplice e lineare, Asghar Farhadi (al suo quinto lungometraggio, dopo Low Heights, A Beautiful City, Fireworks Wednesday, About Elly) inserisce le inaspettate conseguenze, legali e non, delle piccole e grandi omissioni che gravano sulla coscienza di ciascun personaggio: ognuno a suo modo colpevole di aver intenzionalmente celato una parte della verità per far prevalere le proprie istanze.
Nascosto sotto le vesti di una narrazione quasi prossima al documentario, poco a poco il punto di vista del regista iraniano si palesa assumendo i toni del giallo e svelando, con ricercata gradualità, le molte – qui inconciliabili – dimensioni in gioco. Il risultato è di sorprendente aderenza all’autentica complessità del reale. Se da un lato le donne discutono le loro ragioni, dall’altro gli uomini perdono la testa (sopra tutti il marito di Razieh, interpretato da Shahab Hosseini), mentre anziani e bambini stanno a guardare, confusi da un mare di gesti e parole che satura i possibili spazi di conciliazione. Alla fine tutti perdono la vera causa – non quella del tribunale, piuttosto quella umana della comunicabilità – ed il volto non più bambino di Termeh ci ricorda quanto sia andato perso. Orso d’Oro al Festival di Berlino 2011 come Miglior Film, oltre che vincitore dell’Orso d’Argento per i cast femminile e maschile (davvero di grande incisività e valore), Una separazione è un film essenziale e vibrante, di una complessità così rara e sfuggente che non si dimentica.