Semper fidelis
L’America ha appena salutato la prima stagione di Homeland, nuova serie tv targata Showtime, mentre l’Italia è pronta ad accoglierla a febbraio. Protagonista indiscussa è Carrie Mathison, analista della CIA che lavora per la cattura di un pericoloso terrorista, il quale minaccia la sicurezza degli Stati Uniti.
Dopo una lunga missione in Iraq, la donna ritorna in patria, ma i suoi sospetti non diminuiscono, alimentati dalla testimonianza certa che una talpa al servizio del nemico si aggira indisturbata nello stato. I suoi dubbi si concentrano sul sergente dei Marines Nicholas Brody, ex prigioniero proprio di quel terrorista, liberato dopo otto anni e ritornato a casa da eroe. Per quanto si cerchi di andare a fondo nell’analisi della psicologia dei personaggi, il dubbio sulla loro sincerità resta: sia che stiano dicendo la verità sia che stiano fingendo per scopi più sordidi, non c’è mai la certezza che le loro azioni siano trasparenti. Le macchinazioni si susseguono, si continua a mentire, far buon viso a cattivo gioco per fugare qualsiasi sospetto e portare avanti la propria strategia. La forsennata ricerca della corruzione è già stata protagonista delle estenuanti missioni condotte da Jack Bauer (24 2001-2010) che si ritrova da solo a lottare contro una minaccia che alla fine riesce miracolosamente a scongiurare. Anche qui la protagonista può contare unicamente sulle sue forze, non per autocelebrarsi solitaria paladina della giustizia come fa il suo collega del CTU, ma perchè nessuno è in grado di seguirla nel ragionamento, esponendosi come fa lei al rischio di perdere lavoro, reputazione, sanità mentale. È un personaggio completo quello di Carrie, intenso e vulnerabile, quantomai reale. Insieme al suo, ogni altra figura, in Homeland, è costruita con singolare perizia: tutti hanno il proprio posto nell’economia del racconto, sono complessi e controversi e hanno il loro spessore, che spinge lo spettatore a volerli studiare, capire, non semplicemente vedere e poi dimenticare. Altro grande fattore fondamentale per la buona riuscita della storia è la pazienza con cui questa è raccontata: giusto spazio è attribuito ad ogni singolo dettaglio, ogni azione, ogni movimento si ritaglia un’inquadratura propria. La logica sembra piegarsi al modus operandi dei terroristi che raffigura, posata, ponderata, conscia del proprio potere e in attesa della perfetta messa a punto per poterlo scatenare, come un ragno che tesse la sua tela in attesa che la sfortunata mosca cada nella trappola invisibile. E se questo comporta una durata maggiore, ben venga: di media gli episodi durano dieci minuti in più dei canonici quaranta minuti, spot esclusi, e il finale ne conta nientemeno che ottantaquattro. Di conseguenza si pretende dallo spettatore un’attenzione prolungata, ripagandolo. A differenza dell’eccessiva puntigliosità di 24, dove ogni secondo viene esplicitato siccome gli eventi si concentrano nell’arco di una singola giornata, qui la frenesia dell’urgenza non è dovuta allo scadere del giorno, ma dall’ignorare totalmente l’istante in cui il nemico sarà pronto a colpire. Essere sempre all’erta è una prassi nella finzione di una serie televisiva che va a rispecchiare la grande paura americana per un avversario imprevedibile e per questo ancora più letale. Per quanto l’America sia l’osannata protagonista, forse implicitamente ancora più di Carrie, non ne esce completamente pulita: se l’Iraq è la patria del terrorismo, gli Stati Uniti sono una terra in cui la corruzione galoppa indisturbata, dove chi può fa i propri interessi insabbiando informazioni che andrebbero a distruggere la sua preziosa carriera. Gli ingredienti in gioco sono dei più classici, ma è proprio il lato che nessuno si aspetta a essere reso evidente, esempio massimo la famigliola felice stile spot pubblicitario che nasconde la precarietà dietro l’apparente solidità di un nucleo ricostruito. Un gioco sul filo dell’alta tensione aperto già nel pilot, riesce a protrarsi per gli ulteriori undici episodi senza mai allentarsi o risultare banale, lasciando che lo spettatore veda le sue certezze cadere e ricostruirsi più fragili in attesa dell’intenso finale di stagione di Homeland.
Homeland [id., USA 2011] IDEATORI Howard Gordon, Alex Gansa.
CAST Claire Danes, Damian Lewis, Mandy Patinkin.
Drammatico/Thriller, durata 55 minuti (episodio), stagione 1.
Pingback: Homeland – Season 4 - Mediacritica – Un progetto di critica cinematografica