Luc Besson incontra il popolo del FFF
Curioso destino, quello del Future Film Festival, forse inscritto nella sua stessa idea fondativa. Come proporre un panorama mediale del futuro, avendo al centro la parola “film”, e rischiando di essere sempre superati dagli eventi tecnologici?
Aporia, questa per la quale a volte si ha l’impressione che il FFF si sia trasformato – legittimamente – in un festival conservatore invece che slittare verso l’evento “rabdomante” dei new media. Proiezioni in un teatro adattato a cinema, anteprime importanti, dibattiti e tavole rotonde, etc. E non a caso l’ospite d’onore è stato Luc Besson, assai più interessato alla dimensione romanzesca del suo cinema che non a quella ipertecnologica.
Abbiamo seguito l’intensa giornata di Besson al festival. Nemmeno una notte passata a Bologna, andata e ritorno con aereo privato, e bagno di folla tra spettatori e giornalisti da tutta Italia. La scusa ufficiale era l’anteprima di Arthur 3, capitolo (forse) finale della saga dei Minimei, ma in verità Besson ha risposto a tutte le domande, passando dall’impegno ecologista alle citazioni di André Gide. D’altra parte, con un cineasta totale, produttore e inventore del cinema spettacolare in Europa, non ci si poteva aspettare altro che una visione ad ampio raggio.
Con una truccatrice fedelmente al suo fianco – piccolo esempio di civetteria transalpina – il regista parigino non arretrava nemmeno di fronte a domande sugli scandali erotici italiani: “Per come è messa la Francia oggigiorno, non credo possiamo dare lezioni a nessuno”, ed ecco liquidati in una battuta entrambi i litiganti, Berlusconi e Sarkozy. Poi eccolo farsi serio, alla nostra incauta domanda sullo scontro culturale che in Francia lo contrappone al cinema d’autore: “Mi sorprende sempre che i critici facciano domande su come si comportano gli altri critici. A me non interessa minimamente quello che si scrive di me. Non ho mai rimproverato un giornalista in vita mia. Faccio film per il pubblico e quello che sta in mezzo tra opera e spettatore mi lascia indifferente”. Facendogli notare che si parlava più in generale di tradizione del cinema francese, si fa ancora più polemico: “Che cosa è la cultura? Non è quella che i guardiani del tempio vorrebbero che fosse, come quando detestavano Picasso perché distruggeva la figura umana. Bisogna abbattere gli steccati, i generi, le storie”.
Sistemati gli scettici, tutti erano molto curiosi di sapere quali siano state le influenze dirette e indirette sul suo cinema, a quali registi o artisti Luc Besson si ispiri. Risposta ecumenica: “Nessuno. Il modo peggiore per fare cinema è prendere spunto da altro cinema. Io sono un semplice spettatore, amo i film, mi capita anche di fare citazioni e omaggi divertenti verso registi che stimo, come George Lucas, ma non baso le mie storie su pellicole preesistenti. Lo stesso vale per il fumetto e l’animazione. In realtà, la mia massima ispirazione è la vita vera, sono le persone che incontro, gli alberi, la natura, la strada. L’immaginazione è quello che conta”.
Rispetto al futuro del cinema, Besson ha le idee chiare: “Il linguaggio virtuale ha comunque dei limiti. Anche la saga dei Minimei è girata con veri attori, animati solo in seguito. Anzi, Arthur in verità è interpretato da una ragazzina. Nel mio film Adèle e l’enigma del faraone, persino lo pterodattilo gigante è stato creato basandosi su espressioni e movimenti di veri volatili. Non credo che il digitale sostituirà mai l’elemento umano”.