Vacanze romanesche
In principio fu New York (Manhattan), poi Londra (Match point) poi Parigi (Midnight in Paris) e, infine, Roma con To Rome with Love.
Il film-cartolina, trasformatosi in appellativo dispregiativo, non l’ha certo inventato Woody Allen. Potremmo azzardare che la stessa Parigi di Peccatori in blue jeans di Marcel Carnè è vista attraverso il filtro affascinato ed esterofilo che, per noi italiani, viene magicamente riassunto nelle misure e nelle forme della cartolina ma, sicuramente, senza niente togliere al lato estetico dell’opera in sé.
C’è qualcosa, però, che nell’ultimo film di Allen non funziona ed è proprio questo ricorso ossessivo al contesto, alla città che mai come in questo caso fallisce nel bilanciare le gradevoli storie che si sviluppano al suo interno. Roma come presenza viva, panacea di ricordi nebulosi, di nuovi amori e di sorprese inaspettate, la cui anima viene racchiusa fra le intromissioni intradiegetiche di due cittadini trasformati in altrettanti “ciceroni”. Tutto il film ruota attorno alla necessità di avere accanto una voce guida, fin dall’invito del primo “cicerone” ad entrare nelle vie della città come se fossero tante pagine bianche di un libro. Per Antonio, in viaggio da Pordenone assieme alla giovane moglie Milly, questa voce è Anna, escort di fiducia di tutta la Roma dabbene; per Leopoldo Pisanello è l’autista della macchina di lusso che lo scarrozza lontano dagli sguardi invadenti dei media; per Jack, studente di architettura, è John, famoso architetto americano la cui presenza quasi spettrale lo accompagna lungo tutto il suo turbamento amoroso; per Jerry, regista d’opera in pensione, è Phyllis, sua moglie, strizzacervelli di stampo freudiano.
Serve qualcuno che ci racconti quello che stiamo facendo e che ci insegni la vita che ancora non conosciamo, ma questo qualcuno non può essere la città di Roma, presenza ingombrante che di eterno, ormai, ha solo i cantieri.
Ecco cosa funziona nel film. Il testo, ovvero la storia, i personaggi, le loro guide, il modo approssimativo ma divertente con cui si accenna alla situazione politica italiana.
Ecco cosa non funziona. Il contesto, ovvero la cornice, i monumenti visti dall’alto e poi ricostruiti in studio per le riprese in interni, come ad un’esposizione turistica di terz’ordine, il modo approssimativo e poco divertente con cui i personaggi si perdono nel labirinto di piazze famose e vie senza nome.
Senza contare le decine di scene in cui il microfono fa capolino dal margine superiore dell’inquadratura, ma questo evitiamo di dirlo in Italia. Potrebbe esser stato fatto all’insaputa del regista.