Le voci dell’inchiesta, Pordenone 11-15 aprile 2012
Uno dei tanti
Lo Stato vigila e difende il cittadino? Ma soprattutto quando un cittadino è sotto la tutela dello Stato, perché in arresto, la sua vita è veramente tutelata? A ripensare alla, fortunatamente, nota vicenda di Stefano Cucchi ad entrambe le domande la risposta è negativa.
Maurizio Cartalano ha presentato il suo documentario 148 Stefano. Mostri dell’inerzia durante il festival pordenonese “Le voci dell’inchiesta”, lavoro che racconta Stefano attraverso le voci di chi conosceva e ha conosciuto, prima e dopo la sua morte, uno dei “martiri del nostro bel Paese”. Stefano Cucchi muore “di carcere” il 22 ottobre 2009 sei giorni dopo il suo arresto, il documentario scava su una delle vicende più oscure degli ultimi anni senza elevare a santo la figura del giovane ma, riconoscendone le sue colpe, cerca di fargli giustizia raccontando il calvario che porterà alla sua morte in quei giorni cadenzati da momenti assurdi e dolorosi, il tutto senza scadere mai nel patetismo ma con uno sguardo lucido e obbiettivo. Per spiegare un processo fatto con la mano sinistra, il regista ci propone l’audio originale dell’interrogatorio a Stefano, in cui si sente la fatica e il dolore che il giovane ha provato e la totale indifferenza dei suoi interlocutori, impegnati in un momento di routine e quindi disinteressati delle condizioni fisiche del ragazzo. Malgrado le circostanze del decesso siano tuttora da chiarire, le responsabilità di quell’agghiacciante e breve periodo detentivo, fatto di pestaggi e umiliazioni, occupa un ruolo importante nell’inchiesta narrata nel documentario, attraverso anche le parole dei familiari, dei legali e dei rappresentati della giustizia italiana che hanno seguito il caso. Dopo il suo arresto per droga in quelle giornate di galera, a Stefano e ai suoi familiari sono stati negati tutti i diritti, e l’unico “incontro” tra di loro è stato nell’obitorio dell’ospedale quando ormai Stefano era solo un corpo martirizzato su un tavolo freddo. Il padre non si vergogna a dire che Stefano ha passato una via crucis senza precedenti, e nonostante tutto dice di avere ancora fiducia nelle autorità, noi spettatori facciamo fatica dopo i racconti presenti nel film e soprattutto dopo le dichiarazioni troglodite di alcuni politici del tempo. Suggestivo l’uso dell’animazione, priva di colori sgargianti ma dominata dai grigi e dal rosso del sangue, per ricostruire i momenti più crudi, Cartalano, anche attraverso questi stratagemmi, riesce a rimanere sulla linea del documento che vuole rendere sì la verità ma non vuole lucrare in nessun modo sulla vicenda. Più che un atto accusatorio 148 Stefano è una domanda rielaborata attraverso il montaggio, come un continuum chiedersi il perché di una “situazione kafkiana”che ha fatto salire le morti nei penitenziari italiani al numero 148. Sono passati quasi tre anni e la verità purtroppo è ancora lontana e intanto il numero di morti di carcere cresce a dismisura e i responsabili vengono difesi.