Essere e non essere
David Foster Wallace diceva che ogni storia d’amore è una storia di fantasmi. Mission: Impossibile – Dead Reckoning, capitolo finale diviso in due parti della serie action prodotta e interpretata da Tom Cruise, ci dice che le storie di fantasmi sono storie d’amore.
Ethan Hunt e la sua squadra sono fantasmi, che non esistono, non devono o non possono apparire. Ripresi in penombra, emersi dal buio come nell’entrata in scena del protagonista, o impegnati a essere qualcun altro, perché non possono più essere loro stessi.
La missione del film diretto da Christopher McQuarrie e scritto dal regista con Erik Jendresen vede Hunt e soci alla ricerca di due chiavi che, unite insieme, dovrebbero intervenire sull’Entità, una sorta di intelligenza artificiale fin troppo evoluta in grado di spazzare via qualsiasi difesa governativa e dare vita al caos. I nostri eroi, qualora decidessero di accettare la missione (spoiler: l’accettano), devono trovare le due metà della chiave, toglierla di mano ai molti cattivi che la cercano, su tutti un fantasma dal passato di Hunt, e infine scoprire dove si trova lo scrigno che quell’oggetto dovrebbe aprire. Più che una riflessione moralistica sui pericoli dell’intelligenza artificiale e dei suoi sviluppi, perché alla fine è sempre l’uomo il vero responsabile, Mission: Impossibile – Dead Reckoning parte I guarda alle IA come ci si guarda allo specchio, ragionando sugli aspetti filmici e metalinguistici che la questione si porta dietro: il cinema post-umano e digitale, che la serie incarna e cerca di amalgamare con la fisicità dei suoi corpi in movimento (Wade Eastwood, regista della seconda unità e coordinatore degli stunt, è il vero co-autore del film dopo Cruise) e l’impressione analogica della sua messinscena, soprattutto il viaggio nel passato per ripararsi dal presente e dal futuro.
In epoca di nostalgismo acuto, Cruise e soci lo definiscono in maniera cinematograficamente brillante con un film che si muove continuamente indietro nel tempo per combattere ciò che c’è davanti a loro: se le tecnologie sicure sono quelle offline, anche il cinema di riferimento è quello delle radici, De Palma e Woo che inaugurarono l’epopea con potenti gesti d’autore dentro il meccanismo seriale (l’identità dentro l’anonimato), Kubrick e Hitchcock (Notorious, il MacGuffin), l’Orient Express che diventa un set di Buster Keaton e il cappa e spada dell’incredibile sequenza a Venezia.
Il passato non è una fuga, bensì uno scudo, è la voglia di costruirsi le basi per poter affrontare il momento in cui tutti saremo fantasmi, ricordandoci chi siamo o chi siamo stati: questo il film lo fa con un’eleganza e una cura di regia, movimenti, estetica dell’azione e della costruzione (montaggio sopraffino di Eddie Hamilton) che suppliscono all’eccessiva complicazione dell’intreccio rasentando l’estasi in più di un’occasione: la riunione con Hunt mascherato e silenzioso, la caccia all’uomo in aeroporto, l’epica degli spazi a Venezia e quella delle scalinate a Roma, la vertigine delle identità che si affaccia su quella fisica dell’altezza lungo il tragitto del treno. “Che cosa ti aspetti da me?” chiede Cruise a Simon Pegg prima di spiccare il volo e raggiungere il treno sotto la montagna. Esattamente questo, ci viene da rispondere: volare.
Mission: Impossibile. Mission: Impossibile. Mission: Impossibile. Mission: Impossibile. Mission: Impossibile