L’origine della follia
Nell’Italia fascista del 1930, il professor Bonaccorsi, rinomato psichiatra, svolge attività di ricerca sulla follia nel manicomio dove lavora. In realtà, il dottore è ossessionato dall’idea di essere pazzo, sia per il molto tempo passato a contatto con i malati, sia per una “predisposizione” di famiglia: suo padre è morto suicida e la sorella è ricoverata nello stesso manicomio. Quando crede di aver dimostrato l’esistenza del gene della pazzia, la prova contraria gli viene sbattuta in faccia da Anna, una giovane dottoressa.
I film di ambientazione manicomiale, all’interno del cinema italiano, hanno tracciato un solco abbastanza forte, specialmente verso la metà degli anni Settanta. Dopo l’apripista La casa delle mele mature (1971) di Pino Tosini, si è proseguito sia sul fronte dell’autorialità tout court con opere come Matti da slegare (1975) di Marco Bellocchio e Silvano Agosti, che sul versante più popolare anche se con il tocco di maestri come Alberto Lattuada (Oh, Serafina!).
Mauro Bolognini contribuisce al filone in maniera del tutto personale e nel 1975 esce Per le antiche scale, un dramma psicologico ambientato all’interno di una casa manicomiale, liberamente ispirato al racconto Dentro la cerchia delle mura di Mario Tobino e appartenente alla raccolta che dà il titolo al film. Bolognini è già entrato nella sua fase più dichiaratamente erotica ed esteticamente raffinata, che ha fatto alzare il sopracciglio a gran parte della critica, accusandolo spesso di calligrafismo. L’eleganza formale che il cineasta raggiunge in questo film (grazie alla fotografia giallognola di Ennio Guarnieri e alle scenografie e i costumi di Piero Tosi), non appare inamidata e frigidamente scultorea (come avverrà nel successivo e mediocre La venexiana), ma trattiene quel senso di profonda ambiguità ontologica che esprimono i personaggi messi in scena. L’autore evita di utilizzare i nudi e l’eros femminile per titillare i bassi istinti dello spettatore medio – pur disponendo di un cast femminile che va da Barbara Bouchet ad Adriana Asti – così la moda del voyeurismo gratuito viene evitata in favore di una dimensione morbosa che sfocia nella pura tragedia umana. Bolognini intesse un intrigante discorso sulle origini della pazzia, attraverso le maniacali ricerche del professor Bonaccorsi (Marcello Mastroianni), ossessionato dalla paura di essere contaminato da un ipotetico gene della malattia mentale. Il personaggio di Mastroianni si intrattiene sessualmente con diverse pazienti per studiarne a fondo i raptus erotici, senza ammettere a sé stesso che in realtà sta fuggendo da una propria dimensione psicotica.
Il film si apre con una festa di carnevale organizzata all’interno del manicomio e il professor Bonaccorsi funge da capocomico della serata in maschera. Tale sequenza anticipa i disturbi psichici che corrodono il personaggio di Mastroianni, il quale dietro l’apparenza formale e severa nasconde una natura satiresca, un po’ come il Gassman schizofrenico di Anima persa. Quella del professore è una tara ereditaria che non ha risparmiato nemmeno la sorella, che egli tiene segregata per nascondere il proprio lato oscuro, un po’ come Dorian Gray appariva sempre giovane mentre la propria immagine si corrompeva sul dipinto occultato da un telo.
Bolognini inserisce questo tragico racconto psicologico all’interno di una dimensione onirica che sfiora il coté gotico, dilatando così a dismisura le ossessioni e le paure del protagonista (la cella segreta con la sorella pazza, non può non ricordare la stanza in cui giace la folle moglie di Rochester in Jane Eyre), il quale dovrà fuggire dalla clinica vinto dai propri fantasmi e rassegnarsi che fuori dalle mura manicomiali lo aspetta un nuovo incubo in ascesa: quello del fascismo.
Per le antiche scale. Per le antiche scale. Per le antiche scale. Per le antiche scale. Per le antiche scale.