Esperienze
Stella fa un provino per entrare nella scuola di recitazione del Théâtre des Amandiers, il cui direttore artistico è Patrice Chéreau. Riesce a essere ammessa e inizia a conoscere i suoi nuovi compagni di viaggio, instaurando un legame profondo con loro e una relazione d’amore tormentata con Étienne, ragazzo problematico e incline all’autodistruzione. Sono gli anni Ottanta e gli spettri della droga e dell’AIDS compromettono il cammino artistico dei giovani aspiranti attori senza però scalfirli del tutto.
Con Forever Young, Valeria Bruni Tedeschi realizza un lavoro sincero e sentito: un racconto autobiografico, senza citare apertamente nomi e cognomi (se non quello di Chéreau), spinta dalla voglia di immortalare un periodo della sua vita fondamentale e pienamente formativo.
Già nei suoi precedenti lavori, su tutti Un castello in Italia e I villeggianti, la componente autobiografica era parte fondante, ma in questo caso, decidendo di raccontare i primi anni in cui frequentò la scuola di recitazione del Théâtre des Amandiers, emerge un’opera ancora più autentica con uno sguardo quasi documentaristico che riesce a trasmettere un senso di affetto e nostalgia. Siamo accompagnati in una storia che sottolinea come ci sia sempre più bisogno di ricordare che essere giovani è una battaglia e diventare adulti fa dimenticare quanto eravamo “belli e coraggiosi” un tempo. La regia, attenta a non edulcorare ambienti e dialoghi inutilmente, si lascia abbandonare ai ricordi con musiche d’epoca e una fotografia particolarmente “sporca” che non cerca di abbellire i personaggi. Non si risparmia o addolcisce la pillola allo spettatore: c’è la libertà e la spensieratezza di dei giovani – consapevoli di avere una grande occasione con la scuola di recitazione – che non stanno salvando il mondo ma loro stessi, o almeno ci provano, anche attraverso la voglia di sperimentare esperienze estreme, compreso sesso e droga. Solo Étienne è caratterizzato negativamente: nonostante la vita gli abbia dato grandi opportunità, spreca tutto e i demoni con cui convive lo trascinano nel baratro dei suoi peggiori incubi. Un personaggio tipico del racconto di formazione e della gioventù che si ritrova sovente, sia in campo cinematografico che letterario. Fin dal nome scelto per il suo alter ego, Stella, interpretata dall’intensa Nadia Tereszkiewicz, Bruni Tedeschi metaforizza il tutto ispirandosi a quel Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams in cui Étienne diventa un ipotetico Stanley: lei è debole ma combattiva e volitiva, lui è passivo e stanco ma violento; lei è il centro della storia, lui la fine; lei soffre e poi rinasce, lui sprofonda senza capire il perché. Teatro nel teatro e nel cinema, dove le passioni incontrollate diventano la norma e ci ricordano l’impudenza di un’età dove spesso, inconsci del nostro potenziale e della nostra bellezza, tendiamo ad amplificare le emozioni, complicandoci da soli l’esistenza. Tutti i personaggi, oltre al fatto di essere stati scelti dalla scuola, sono comunque dei privilegiati soprattutto a livello economico e questo diventa anche una critica a un mondo ovattato e fuori dalla realtà, suggerendo che chi ha meno forse lotta in modo diverso. Forever Young è la storia di un percorso personale, e giusto o sbagliato che sia, riesce alla fine a commuovere e far capire che la formazione di un individuo passa obbligatoriamente per le esperienze di vita. Un film di una cineasta che ha imparato molto, sia a livello professionale che umano, e che con sincerità restituisce tutto ciò al pubblico.
Forever Young