Le emozioni dietro la maschera
Apprendiste geisha (o geiko), ovvero le popolari artiste e intrattenitrici giapponesi, le cui abilità includono varie arti, quali la musica, il canto e la danza. Una professione, ad oggi, però, sempre più in via di estinzione.
È questo che le quindicenni Kiyo e Sumire ambiscono a diventare, trasferendosi pertanto in un’okiya, ovvero la casa in cui le maiko (nome dato alle aspiranti geisha) vivono in comunità assieme alle loro insegnanti. Delle due amiche è però Sumire ad avere il talento e il carattere necessari per tale ruolo. Kiyo, invece, è impacciata e forse non realmente interessata ad esso. Si scoprirà invece desiderosa di diventare makanai, ovvero colei che si occupa della preparazione dei pasti per le maiko.
A partire da questa premessa, risulta piuttosto evidente come, all’interno di catalogo come quello di Netflix, ricco di prodotti roboanti o degni figli della cultura pop, un’opera intima e ancorata alle tradizioni delle geisha come Makanai rischi di passare inosservata. Questa serie proveniente dal Giappone, composta da 9 episodi e ideata dal regista premiato a Cannes Hirokazu Kore’eda, spicca però per la capacità di offrire allo spettatore un contesto inedito in quanto scevro da una serie di stereotipi, lavorando proprio a partire dalle tradizioni poc’anzi citate per ragionare su temi particolarmente attuali. Si parte dal concetto di famiglia non tradizionale, notoriamente caro a Kore’eda e ricorrente in tutto il suo cinema, da Nobody Knows fino al più recente Broker – Le buone stelle. Kiyo e Sumire entrano qui a far parte di quella che diventa a tutti gli effetti una famiglia composta da sole donne, ricordando dunque quella al centro del film Little Sister, sempre regia di Kore’eda. Il rapporto che si genera tra tutte le presenti, differenti per età, ambizioni, passioni e fragilità, fa dunque sì che il regista giapponese possa tornare a proporre la famiglia come istituzione non necessariamente definita dai legami di sangue bensì da quel senso di amore reciproco, che ne permette dunque la nascita anche nella meno canonica delle situazioni.
In questo caso, ad unire le protagoniste di Makanai è il cibo, altro elemento dal valore estremamente importante all’interno della serie e della cinematografia giapponese. Nelle opere di Kore’eda, in particolare, questo è simbolo di legame: con le persone, con i ricordi, con le tradizioni. I due aspetti si mescolano dunque, proprio come gli ingredienti adoperati da Kiyo. Si esprime così, nelle scene in cui le protagoniste sono raccolte intorno al cibo, quel senso di unione e sospensione del tempo che permette all’animo dei personaggi di venire allo scoperto.
Perché dietro l’apparente calma e spensieratezza delle situazioni proposte dalla serie, si nasconde in realtà un mondo emotivo in fermento, difficile da controllare. Il fatto che questo venga raccontato attraverso il contesto delle geisha, dove ogni emozione personale deve generalmente essere soppressa in favore di un netto stoicismo e del divertimento di chi guarda, e dunque attraverso un contrasto particolarmente forte, rende il tutto ancor più affascinante. Ogni personaggio, che sia adolescente come Sumire o anziana come la okaa-san Azuma (la Madre che gestisce l’okiya), nel corso della serie farà emergere la propria umanità, definita dalle passioni ma anche da fragilità, rimpianti, paure e desideri inconfessabili.
Ogni membro di questa famiglia auto formatasi, dunque, vivrà un proprio percorso di formazione e su questo genere di racconto va a posarsi Makanai, rifuggendo dalle convenzioni per proporre piuttosto qualcosa di nuovo, raramente trattato con questa cura. L’affresco che Kore’eda costruisce è, in ultima analisi, ancora una volta quello di un contesto pacifico, sobrio, che proprio per la sua narrazione pacata potrebbe apparire privo di eventi significativi, ma dove invece anche il più piccolo dei gesti apre a un mondo di sensazioni e riflessioni, sulla società giapponese ma anche, più in generale, su quella umana.