Com’era verde la mia isola
Il titolo originale è The Banshees of Inisherin. Il Banshee, secondo le leggende popolari irlandesi, è lo spettro di una donna urlante che preannuncia la morte, entità posta allegoricamente al centro del nuovo lavoro di Martin McDonagh fin dal titolo. Inisherin è invece l’isola immaginaria su cui si svolge l’intera vicenda che nasce come pièce dello stesso McDonagh ed è l’ideale conclusione di una trilogia teatrale dedicata alle isole Aran, ma fino ad ora non è mai stata pubblicata né messa in scena, perché lo stesso autore l’ha definita “isn’t any good”, ovvero non buona.
In realtà il debutto cinematografico della pièce ci spinge a pensarla in maniera diametralmente opposta, perché non solo funziona come potente allegoria della guerra civile irlandese (la storia è ambientata nel 1923), ma è ad oggi il film più riuscito del cineasta e commediografo anglosassone, il quale ha trovato il perfetto equilibrio tra umorismo e tragedia, binomio già presente nei suoi precedenti lavori per il grande schermo e quasi una costante per diversi cineasti britannici (basti pensare a Peter Mullan e Mike Leigh). Protagonisti principali della vicenda sono due amici di vecchia data (giganteschi Farrell e Gleeson), i quali iniziano una diatriba sempre più accesa e parossistica, nel momento in cui il più vecchio dei due rompe il patto amicale dicendo che il compagno non gli va più a genio. Gli spiriti dell’isola è puro teatro dell’assurdo fatto di attese e ripetizioni, tempi morti e dialoghi surreali, una tragedia umana che assimila la lezione di Beckett e quella di Kafka per raccontare il paradosso del vivere, rievocando elementi biblici (legge del taglione, sacrifici animali) e mescolandoli al folklore irlandese. Il male di vivere che esprimono gli abitanti di Inisherin, rappresentato in primo piano dalla faida dei due amici (ma anche dalla vicenda parallela del poliziotto e di suo figlio), è lo specchio della guerra civile che inaridisce gli animi umani e che fa affiorare solitudini e frustrazioni personali.
Il Banshee, come spettro di questa apocalisse umana, è incarnato dalla vecchia McCormick, una megera che preannuncia morte e disgrazie. Ma in una memorabile battuta Colm (Gleeson) dice a Pàdraic (Farrell): “Magari le banshee ci sono ancora, ma penso che non urlino più. Penso che restino lì divertite a guardare”.
Per McDonagh l’angelo della morte è uno spettatore divertito da questo tragicomico spettacolo di miserie umane, e se nella prima parte diverte (per il suo beffardo sarcasmo), nel finale stimola i condotti lacrimali senza calcolati pietismi, ma con una straordinaria e squassante umanità.
A proposito dell’umanità antieroica dei personaggi, si è fatto il nome di John Ford che in teoria andrebbe affiancato a quello di James Joyce. I protagonisti de Gli spiriti dell’isola sono degli sconfitti dalla vita, come i personaggi raccontati nella novella The Dead dal grande dublinese, ma in effetti posseggono anche quella struggente malinconia per la fine di un’epoca di tradizioni e valori, tipicamente fordiana. Malinconia ampiamente sottolineata dai totali paesaggistici dell’isola (dettagli western già presenti nel precedente Tre manifesti a Ebbing Missouri) che rappresentano il mito di una purezza perduta.