Una questione di sguardo
Il cinema horror si fonda, ovviamente, sulla paura: la paura del mostro, del mostruoso, del monstrum latino che si mostra allo sguardo. Il cinema horror, imprescindibilmente, si fonda sullo sguardo. Il cinema di fantascienza, d’altro canto, parla del futuro o lo immagina, si proietta quindi dal presente in poi. Compie un discorso sociale verso avanti.
Nel 2002 esce Signs e nel 2022 Nope. Due opere che rielaborano il tema dell’abduction extraterrestre, due film seminali che collegano la fantascienza all’horror. A distanza più di dieci lustri, insomma, i due generi principe continuano a dimostrare come sappiano leggere la nostra attualità e come periodicamente siano alla ricerca di nuovi linguaggi declinandosi attraverso le suggestioni e l’immaginario del presente.
Nope, sotto questo aspetto, è un film fenomenico e straordinario. Centrale, se vogliamo, perché mette al centro del racconto una riflessione, fondamentale, importantissima, anzi necessaria, sullo sguardo, sulle immagini e sul loro potere ipnotico. Conseguentemente sulla fabbrica di immagini per eccellenza ovvero cinema e televisione, con matrice hollywoodiana, obbligandoci a riformulare la nostra grammatica e il nostro immaginario attraverso il nostro sguardo, declinando e ricalibrando tutto con la diegetica tarantiniana e poi, soprattutto, in base al nostro vissuto. Jordan Peele compie con Nope un triplo salto mortale rispetto ai suoi precedenti Get Out – Scappa! e Noi: perché tutto quello che offre alla nostra visione porta in sé, anzi sopra di sé, impresso nella forma e nella sostanza, la tensione di contenere altro oltre alla superficie dei segni. Intride il racconto western/horror – ibrido pressoché inedito al cinema, mentre era stato visitato da Sergio Bonelli sulle pagine del fumetto di Zagor se guardiamo altrove – di giochi di specchi e scatole cinesi, ma soprattutto lo arricchisce allo sfinimento di metafore e analogie che rendono Nope una vertiginosa satira sociale e antropologica rivolta al nuovo millennio.
Per farlo non poteva non avere come oggetto perfetto il cinema (o l’audiovisivo, in genere l’industria culturale delle immagini e del suono), che con le sue propaggini più estreme trasforma lo spettacolo in ossessione: ossessione che travasa su di noi, verso le immagini – dalle quali vorremmo/dovremmo scappare e dalle quali invece siamo inevitabilmente attratti. Perché l’industria dello show-biz divora letteralmente chi lo guarda.
Monstrum. Un mostro, quindi, come il mostro villain di Nope: la cui forza letale risiede proprio nello sguardo, nella potenza della visione. Un mostro che muore nel momento in cui viene catturato dalle immagini che però noi non vedremo mai.
Ecco: un gioco di specchi che diventa un labirinto sensoriale, dal quale non si esce vivi.
Perché la differenza tra guardare e vedere è realmente, oggi, la differenza tra vivere e morire.