Memorie di un cinema e di tempo che fu
L’Onda Lunga è la storia dell’Associazione Nazionale degli Autori Cinematografici (ANAC) e nella sua ora abbondante riassume le parole e quindi i caratteri di Carlo Lizzani, Emanuela Piovano, Giovanna Gagliardo, Giuliana Gamba, Giuliano Montaldo, Lina Wertmüller, Marco Bellocchio, Mimmo Calopresti, Ugo Gregoretti, insomma buona parte della storia del cinema e della cultura italiana. Nata nel 1952, per volontà e azione di un manipolo di autori come Amidei, Blasetti, lo stesso Lizzani, Monicelli, Scarpelli e altri, ha fin dal suo statuto obiettivi culturali e politici direttamente collegati alla libertà di espressione.
Basta questo per inquadrare la portata teorica de L’Onda Lunga, della storia che racconta, di un’epoca irrimediabilmente persa, dove pensare che “arte” potesse far rima con “politica” non era una sconcezza perché l’idea stessa della politica riportava ad altre dimensioni, altri sistemi, altri significati che oggi sembrano oscurati e persi nel mare emotivo che domina ogni estensione della comunicazione sociale. In questo modo, l’opera riesce a ricordare e a tratti a vestire gli abiti di un cinema che non c’è più.
Ma attenzione: L’Onda Lunga non è una sterile e auto compiaciuta (magari anche cattedratica) lezione nostalgica, non ha nessun tono lezioso, non si culla nel passato e non rincorre nessun mulino a vento. Perché Francesco Ranieri Martinotti vuole solo operare una ricognizione precisa e puntuale, mostrare ad un pubblico moderno e sempre più distratto che un altro cinema è possibile, e anzi esisteva un’arte, tutta italiana, di raccontare con le immagini, e insieme divertire, insegnare, divulgare, fare cultura. Il film ha un’unione narrativa e divulgativa che rende coinvolgente e appassionato il susseguirsi degli eventi, che a tratti sfumano nel racconto di idee, a volte invece riportano fedelmente volti, persone e fatti. Ma alla fine rimane una domanda sospesa che forse nessuno ha davvero il coraggio di pronunciare ad alta voce, ma si insinua tra i pensieri e le parole: perché il cinema italiano, una volta appassionato e combattivo, ha quasi completamente abbandonato quell’armatura belligerante e quella voce agguerrita di cronaca e attualità, per una rappresentazione trasfigurata, trasformata, edulcorata della realtà e dell’attualità, o troppo intellettuale o troppo sbracata? Dice Cecilia Mangini, storica autrice di documentari di impegno sociale: “Avevo chiesto il commento del mio Ignoti alla città a Pasolini e lui l’aveva fatto con una semplicità straordinaria. Viene quindi selezionato per la Mostra di Venezia nel 1958 e il direttore mi mette nelle mani un Leone di vetro di Murano, io capisco che il documentario non avrà nessun premio. In realtà, c’era stato un pesantissimo intervento del Ministero contro il mio film che aveva la colpa mortale del testo di Pasolini. Sono tornata a prendere il vaporetto e quel Leone di vetro è andato a finire in Laguna. E sta bene lì.” Subito dopo, viene raccontato di quando Damiano Damiani, allora presidente del’ANAC, mise in crisi il Ministero, quasi lo assediò, per risolvere una crasi che si era creata tra alcuni articoli sulla censura della Legge del Cinema e la Costituzione.
In queste due testimonianze c’è tutta la temperatura emotiva di L’Onda Lunga e del periodo che racconta: che non si può definire un tempo felice, trasfigurato dal ricordo che colora tutto di rosa, ma sicuramente un tempo più saldo, più fermo nelle sue convinzioni e idee che erano le fondamenta di un cinema diverso. Una temperatura emotiva che viene spiegata benissimo da Giovanna Gagliardo: “quello che era bello di quell’epoca, e che secondo me si è completamente perso, è che ognuno di noi aveva un’idea di futuro, di quello che avrebbe dovuto essere la società, la cultura, il cinema, il comportamento personale e privato. Ognuno aveva una visione, giusta o sbagliata, ma per questa visione era pronto a battersi, e questo dava un’invincibilità”