Incontrarsi e riconoscersi
Un periodo non meglio specificato degli anni Novanta: in un microscopico vagone letto del treno tra Mosca e Murmansk, città portuale all’estremo nord della Russia, si incontrano i protagonisti di questa storia di connessione umana che supera barriere apparentemente invalicabili. Laura è una giovane finlandese in viaggio verso il sito archeologico dei petroglifi di Kanozero, un’avventura inaspettatamente in solitaria dopo che la fidanzata Irina l’ha piantata in asso. Ljoha è un minatore russo che sta raggiungendo il prossimo posto di lavoro e che, a suo modo, sa dare una grande prima impressione di sé.
La storia di due persone che improbabilmente si incontrano e si riconoscono è un classico, ma il regista Juho Kuosmanen fa snodare il racconto con invidiabile equilibrio e con mano sicura, dirigendo perfettamente la narrazione senza invadere lo spazio dei protagonisti.
È un ritratto naturalistico, un racconto tenero senza essere stucchevole, lo specchio di un sentimento genuino e spontaneo, nato senza alcuna aspettativa. Da un lato c’è Ljoha, un colletto blu sfacciato, chiacchierone e un pelino troppo aggressivo, che si presenta alla sua compagna di viaggio scolandosi una bottiglia di vodka e chiedendole a bruciapelo se si stia dirigendo verso Murmansk per fare la prostituta. Dall’altro lato Laura, una studentessa di archeologia scottata dalla sua relazione con Irina e ancora impostata sulla frequenza del piccolo mondo intellettuale che ha lasciato a Mosca, che conserva gelosamente nella sua videocamera. Ci vogliono duemila chilometri perché i due, attraverso tribolazioni e vicissitudini assortite, trovino dei momenti di condivisione e affetto, e si riconoscano a vicenda come anime affini. Gli attori protagonisti rendono con nuance il graduale trasformarsi della loro relazione. In particolare, Yuriy Borisov è eccezionale nell’esprimere la natura duplice di Ljoha, che si chiude a riccio appena si rende conto di aver condiviso un momento autentico, ma allo stesso tempo sembra ricercare le attenzioni e l’amicizia di Laura. Gli sprazzi di vulnerabilità nei suoi occhi rivelano lo stesso desiderio di contatto umano e comprensione reciproca che cerca Laura, alla deriva dopo essere stata scaricata dalla sua ex, incapace di lasciare, anche solo per poco, la sua scintillante vita moscovita per rendere felice la persona che ama. Nonostante ci si muova dentro e fuori dal treno per Murmansk – che impiega tuttora più di un giorno per coprire la lunga tratta – Scompartimento n.6 si svolge in gran parte come un pezzo da camera: i protagonisti agiscono in un ambiente piccolissimo, dove il contatto fisico è inevitabile, illuminato malamente, dai toni caldi, in netto contrasto con il vasto e freddissimo panorama esterno, coperto di neve. Questo calore e questa intimità forzata si trasformano in un nido per i due, costretti a stare vicini anche quando preferirebbero (e provano in ogni modo a) stare lontani. Gli spazi angusti dentro il treno e quelli sconfinati fuori dal finestrino sono resi ancora più contrastanti dall’elegante lavoro dietro la macchina da presa di J-P Passi, che fotografa una Russia post-sovietica spartana e austera, dove gli sprazzi di colore e di frivolezza non sono poi tanti (e spesso si presentano nella forma di musica pop alla radio in automobili fatiscenti). In apertura al film, la sfuggente amante Irina cita Marilyn Monroe: “Only parts of us will ever touch only parts of others” (solo parti di noi toccheranno mai solo parti degli altri). Nel caso di Laura e Ljoha, forse, le parti che si toccano per un breve momento sono sufficienti a riparare le loro ferite.