Sogni, incubi e Diamanti grezzi
Stanley Sugarman, ex-giocatore di basket, oggi importante scout per i Philadelphia 76ers, sta vivendo una fase difficile della propria vita e carriera. Raggiunto il posto di assistant coach assegnatogli dal patron Rex Merrick, la morte di quest’ultimo – e le differenti idee del suo successore, il figlio Vince – rimescolano le carte in tavola facendo retrocedere Stanley al ruolo originario. Giunto in Spagna per conto dei 76ers, contro ogni pronostico, scopre Bo Cruz, giovane cestista dal talento purissimo ma dal carattere difficile. Deciderà di scommettere su di lui andando contro tutto e tutti. L’obiettivo è ambizioso: far giocare Bo nell’NBA, ci riuscirà?
Negli ultimi trent’anni la Happy Madison Productions è stata un po’ croce e delizia del cinema hollywoodiano. Accanto ad opere dai concept interessanti ma dalla resa sterile (Indovina perché ti odio, Pixels, The Ridiculous 6), o più semplicemente di dubbio gusto (La coniglietta di casa, Jack e Jill, Deuce Bigalow, Hot Chick), ci sono autentiche perle (Terapia d’urto, L’altra sporca ultima meta, 50 volte il primo bacio, Cambia la tua vita con un click) che ne hanno saputo cementificare gli intenti filmici esilaranti.
Ecco, Hustle di Jeremiah Zagar (Quando eravamo fratelli) – distribuito su Netflix dall’8 giugno 2022 – rientra proprio in questa sotto-categoria madisoniana, legandosi a doppio filo al destino del suo interprete principe. Quell’Adam Sandler che in carriera non è mai stato un portento di continuità, alternando drammatiche performance convincenti (Reign Over Me, Ubriaco d’amore, The Meyerowitz Stories), ad altre decisamente fiacche (Hubie Halloween, Un weekend da bamboccioni, Sandy Wexler). Nel mezzo c’è il clamoroso Diamanti grezzi dei Josh & Benny Safdie che di Sandler ha rappresentato l’autentico turning point svelandone delle eccellenti doti attoriali nel pieno di una narrazione ansiogena dal ritmo netto e tambureggiante: Hustle riparte esattamente da qui. Giocando di simbiosi con l’inerzia narrativa del capolavoro targato Safdie, Zagar lancia Sandler e l’aspirante rookie Hernangómez (ala grande degli Utah Jazz dall’impressionante progressione) in un’epica sportiva da outsider dallo sviluppo armonico nella struttura ma disarmonico negli eventi raccontati fatta di sacrificio e favori chiesti sottovoce, porte sbattute in faccia e altre aperte, in un continuo saliscendi emozionale.
Nel mezzo c’è la regia di Zagar che se fuori dal campo di basket risulta priva di qualsivoglia guizzo, limitandosi a raccontare la realtà piuttosto che interpretarla “di polso”, dentro al campo ne ribalta la percezione sensoriale nel suo vivere di formidabili soggettive dalla coinvolgente fluidità. Sulla scia dei contemporanei film sportivi sugli outsider (Moneyball, Tornare a vincere, King Richard) – tutti debitori in un modo o nell’altro dell’immortale Rocky targato Avildsen e Stallone – ecco Hustle che ci ricorda ancora una volta del valore dei sogni e dei sacrifici necessari a realizzarli.