Özpetek e l’ultimo harem
Le fate ignoranti vent’anni dopo diventa una serie distribuita dallo scorso aprile su Disney+, ed ecco che il primo vero grande successo commerciale di Ferzan Özpetek, uscito in sala nel 2001 (a oggi ancora il suo esito migliore pur non essendo esente da grossolanità estetiche e magoni da soap), viene rimescolato, dallo stesso autore, con i tempi e il linguaggio delle serie cercando di dare maggiore respiro alla materia drammatica, ma finendo per creare solamente una frammentazione fluviale di situazioni esasperatamente stiracchiate in cui brulicano personaggi al limite del camp.
Il tema della perdita e quello dell’indagine sulla vera identità del marito defunto da parte della protagonista, nella versione per il cinema, attraversavano la figura di Margherita Buy con brevi lampi da mélo capitolino, mentre in questa versione estesa restano solamente gli occhi attoniti di una sempre più bella, ma inerte, Cristiana Capotondi a incarnare il vuoto di un’assenza. Spicca la nuova promessa partenopea Eduardo Scarpetta sempre attento e misurato, capace di fermarsi quando il ridicolo (involontario) è dietro l’angolo, mentre il resto del nuovo harem ozpetekiano resta il solito coacervo di macchiettine e macchiettone da terrazza popolare. Battute da caserma (quasi sempre sul pisello!), segreti, bugie, tradimenti e riconciliazioni si snodano attorno alla tavola apparecchiata dove non manca l’ormai inevitabile momento di danza corale.Özpetek è invecchiato – e con lui i suoi stilemi -, senza maturazione ed evoluzione alcuna, ma, continuando a sentirsi un Almodóvar dell’Ostiense, cerca invano il filo di geometriche e raffinate drammaturgie per poi scivolare puntualmente nei suoi comodi e logori sentimentalismi da alcova borghese.
Fin dall’esordio Il bagno turco (1997) Özpetek ha cercato di fondere la sua cultura d’origine (turca) con quella d’adozione (italiana e specificamente romana) inserendovi la tematica omosessuale e trattandola con una certa delicatezza e sensibilità (almeno in origine). Da Saturno contro (2007) in poi la tematica queer ha preso sempre più la forma della rivendicazione isterica, della concitata sarabanda comico-sentimentale da ortofrutta, dove i sapori e gli aromi delle sue origini ottomane hanno finito per confondersi con gli umori all’amatriciana.
Le fate ignoranti – La serie cerca almeno di rievocare Istanbul in qualche squarcio misterico-paesaggistico e torna a spandersi nell’aria di Roma la fragranza delle polpette alle mele già presenti nel film del 2001.
Questa recherche ottomana riemerge specialmente nell’episodio conclusivo quando il personaggio di Serra torna anni dopo nei luoghi in cui ha perduto l’amore della sua vita. Questo senso di nostos, di nostalgia delle proprie origini, riesce per lo meno a creare un fantasma mèlo vicino all’Angelopoulos senile di L’eternità è un giorno (1998), già evocato da Özpetek in Rosso Istanbul (2017).