YOU DIED
Un percorso di tredici anni unisce Demon’s Souls, il videogioco cult di FromSoftware, all’attesissima uscita di Elden Ring, passando attraverso il successo planetario di Dark Souls che, coi suoi seguiti e filiazioni, ha reso Hidetaka Miyazaki un autore celebre nel mondo e una firma riconoscibile, non solo per la difficoltà dei suoi giochi.
Che si tratti di ripensare il classico gdr di ambientazione medievale, del mito e delle leggende dell’era Sengoku (Sekiro) oppure dell’orrore lovecraftiano (Bloodborne), un intento ha unito tutti i prodotti che hanno decretato l’enorme successo in occidente dello sviluppatore giapponese, è la volontà di ripensare il genere fantastico in chiave oscura e tenendo in grande considerazione il pubblico dei videogiocatori adulti, oggi numerosi ed esigenti.
Anche stavolta possiamo dire con certezza che FromSoftware ha firmato qualcosa di unico e diverso da tutte le precedenti variazioni sul tema dark fantasy, grazie anche alla collaborazione con George R. R. Martin che, con Miyazaki, ha scritto la storia dell’Interregno, il mondo disgregato dalla guerra dei semidei, cui soltanto gli umili “senzaluce” potranno porre fine ricomponendo i frammenti dell’Anello Ancestrale. Le imprescindibili risonanze de Il Signore degli Anelli incontrano la classica narrativa videoludica (colleziona i pezzi dell’artefatto leggendario, scegli tu in che ordine farlo…) e i numerosi prestiti – sarebbe inutile oltre che impegnativo elencarli tutti – da Berserk e dai capisaldi del genere di riferimento.
Come è noto fin dai tempi di Dark Souls, il gioco stesso è intransigente tanto quanto la narrativa è criptica e le meccaniche sono spesso nascoste, punitive e legate a invisibili inneschi, come nel caso delle missioni secondarie, che l’utente non può risolvere facilmente a meno di leggere una soluzione che lo guidi passo passo. Non è previsto che il giocatore medio scopra tutti i segreti da solo; è previsto, invece, che muoia spesso e un po’ di frustrazione sarà inevitabile anche per gli entusiasti del genere, nonostante le molte limature che rendono Elden Ring più accessibile rispetto ai suoi predecessori: le spiegazioni sono più chiare, i contenuti importanti come boss e dungeon restano disponibili nonostante il progredire della storia, i punti di salvataggio sono abbondanti e sempre collocati appena prima di uno scontro impegnativo e la natura open world del gioco permette all’utente intelligente di vivere un’esperienza fluida, affrontando le sfide più complesse solo quando si sente pronto a farlo. La durezza di Dark Souls, che era anche dovuta a difetti, sviste e scelte discutibili, è stata addolcita nel nome della ormai celebre quality of life ma ciò non significa che Elden Ring non sia pieno di sfide, enigmi e veri e propri muri contro cui saremo liberi di sbattere la testa – o rompere il controller – a piacimento.
Resta infine da rispondere a due domande fondamentali: la scelta del mondo aperto si addice ai giochi targati FromSoftware? E come gira Elden Ring sulle console più vecchie? La prima risposta è ampiamente positiva: il mondo di gioco è vasto, denso e verticale mentre l’interfaccia resta essenziale, priva di segnali di obiettivo, mini-mappe e indicatori di distanza. L’Interregno è pieno di segreti e scorciatoie che consentono al giocatore veterano di terminare in meno di un’ora lo stesso gioco che la prima volta ne ha richieste cento. La mappa consultabile non toglie nulla alla sensazione di smarrimento che avremo nei castelli e nelle caverne principali, che sono veri e propri labirinti e gioielli di game design, degni di Sekiro e del primo Dark Souls, mentre i luoghi secondari sono piccoli passatempo utili a potenziarsi, che ricompensano sempre il giocatore con un boss e un oggetto unico. Anche alla seconda domanda possiamo dare una risposta positiva, con qualche precisazione: Elden Ring è un vero gioco crossgen, ciò vale a dire che la grafica può apparire datata se confrontata con prodotti sviluppati unicamente per le piattaforme di nuova generazione. In compenso, però, potremo giocarci tranquillamente sulla vecchia Play Station 4: i tempi di caricamento sono accettabili, la frequenza di fotogrammi può subire dei cali, ma la sostanza resta invariata e anche l’estetica dorata dell’Interregno, nonostante le texture peggiori e l’orizzonte meno dettagliato. Resta inspiegabile l’impossibilità di mettere il gioco in pausa, anche in modalità offline, ma questa e altre pecche non impediranno a Elden Ring di ambire al titolo di gioco dell’anno.