filmforum, Udine-Gorizia 20-29 marzo 2012
Zapruder tra arte e cinema
Asfissia, soffocamento. Sono queste le prime sensazioni che ci vengono trasmesse non appena indossiamo gli stravaganti occhialoni per la stereoscopica visione di All Inclusive (2010).
Una novella di ispirazione noir che ci viene presentata dai Zapruder Filmmakersgroup (David Zamagni, Nadia Ranocchi e Monaldo Moretti) come una storia aperta, che già dalla prima scena elimina ogni possibilità di suspance e che nasconde il segreto personale di Miss Ambra. Una donna appena assunta nell’Hotel Joule che ricerca la propria identità nel lavoro e che si rivela essere una work addicted, propensa ad atti immorali pur di raggiungere l’autoaffermazione (esplicativa la scena in cui Ambra accarezza avidamente la coppa vinta dall’hotel). Inusuale la scelta di lasciare spesso i soggetti principali fuori fuoco così da uniformare tecnica e narrazione: i personaggi non sono volontariamente ben delineati dalla sceneggiatura per rispecchiare la cronaca frammentata. Il tema del lavoro è predominante e si insiste in particolare sullo sfruttamento e sulla perdita di identità che Ambra subisce. In Spell-Suite (2011) invece il lavoro si trasforma in pura perdita di energie come dimostrano i due giocatori di ping-pong. Lo spettatore è chiamato a svolgere il ruolo di giudice che nella scena è assente. Contemporaneamente al ritmo frenetico dei due atleti che si contendono una partita che sembra interminabile si contrappone nello stesso spazio scenico la preparazione accurata di una cappella. Appartenente allo stesso progetto Spell, The Hypnotist Dog (2011) è un falso documentario che racconta di Oscar, un cane dai poteri sovrannaturali, in grado di trasmettere i pensieri delle persone tramite il suo padrone. L’ambientazione e la costruzione della scena spingono lo spettatore ad ampliare il campo visivo grazie alla finestra e alla porta aperta attraverso le quali si intravede il giardino. Sicuramente la prima opera in 3d dei Zapruder rispecchia la loro personalità artistica. Daimon ( 2006-7) è una biografia immaginaria di George Bataille, nata come un progetto a puntate. L’erotismo, il dolore e la morte sono immagini che si ripropongono ripetutamente all’interno della struttura filmica, creando associazioni e corti circuiti. Inoltre ci sono forti richiami alla religione, in particolare all’idea del sacrificio: la visione del mattatoio in cui vengono squartati gli animali si confronta con l’immagine della piaga del costato di Cristo. E’ difficile trovare una collocazione specifica per il lavoro visivo dei Zapruder che spaziano tra campo performativo e cinematografico. L’influenza teatrale è molto evidente, lo spettatore ha la sensazione di trovarsi davanti ad un teatro immateriale che i Zapruder definiscono “cinema da camera”.
Giulia Stefanuto e Debora Tossut