37° Torino Film Festival, 22-30 novembre 2019, Torino
Il freddo dell’anima
Otto anni dopo la vittoria di Á Annan Veg, il Torino Film Festival torna a parlare islandese; vincitore della 37° edizione è stato infatti A white, white day (Hvítur, Hvítur Dagur è il titolo originale) di Hlynur Pálmason, già selezionato alla Semaine de la Critique e prodotto e ambientato nell’Isola dei ghiacci.
È il racconto dell’elaborazione di un lutto che sfiorerà la tragedia, con la rabbia e i dolori repressi protagonisti di un climax in cui la catatonia nostalgica gradualmente si trasforma in rabbia violenta. Questa evoluzione interiore viene resa straniante dall’inevitabile dominio del bianco, tipico dei paesaggi dell’isola, esaltato dalla fotografia monocromatica e sporca il giusto. Questi panorami – al solito – nella loro magnificenza assumono una chiara valenza di specchio della condizione psicologica del protagonista, chiara metafora visiva, grazie al continuo contrasto tra la loro bellezza più immediata e la più profonda inquietudine e alienazione che, almeno alla lunga, trasmettono. Allo straniamento di fondo contribuisce il leggero e costante sottofondo d’umorismo laconico e spigoloso, tipico di molte fredde commedie scandinave, dove talvolta la durezza delle tematiche affrontate, e, più spesso, la solitudine e il disagio dei personaggi, vengono deformati da sorrisi più agri che dolci. Il dramma con venature di commedia –è questa la proporzione più precisa, a differenza, per esempio, dei film di Roy Andersson, Ruben Östlund o Bent Hamer –, vincitore di quella che forse è stata l’edizione del Torino Film Festival più stanca e meno ricca di film in grado di graffiare lo status quo del genere e dei filoni di riferimento, non è un’opera che esce dagli schemi e sorprende andando oltre, o rielaborando, il già visto. Chi ha una minima conoscenza del cinema scandinavo contemporaneo, probabilmente, inserirebbe A White, White Day nella categoria della “medietà”. Anche a livello stilistico, non suonano certo come note nuove le lunghe sequenze con la cinepresa fissa, il ritmo posato, i dialoghi rarefatti o le scene in cui i personaggi sembrano i volti incorniciati in un quadro.
Ad ogni modo, il film si porta la pagnotta a casa e funziona come ritratto psicologico credibile, pur nella sua straniante particolarità e pur nel distacco dello sguardo, che preferisce l’osservazione poco partecipe all’empatia. Pálmason gioca bene con i vari toni, tenendo sempre ben salda la prevalenza del “drammatico” e non esagerando con il pur costanti paradosso e il grottesco, lavorando molto sui rapporti personali tra il protagonista e i personaggi che lo circondano, in qualche modo tutti allo stesso tempo “agenti” e “vittime” della rielaborazione interiore del capofamiglia dominato dal dolore.
A White, White Day [Hvítur, Hvítur Dagur, Danimarca/Islanda 2019] REGIA Hlynur Pálmason.
CAST Ingvar Sigurðsson, Ída Mekkín Hlynsdóttir, Arnmundur Ernst Björnsson, Ƿór Tulinius, Björn Ingi Hilmarsson.
SCENEGGIATURA Hlynur Pálmason. FOTOGRAFIA Maria Von Hausswolff. MUSICHE Edmund Finnis.
Drammatico, durata 109 minuti.