Se già il cinema italiano contemporaneo non offre certo un panorama in grado di farci sentire eccitati e curiosi di fronte alle pellicole che escono (ma sappiamo benissimo qual è il buon cinema italiano, non stiamo nemmeno a ribadirlo), che cosa dire della serialità?
È da tempo che si annuncia un salto di qualità della fiction italiana, eppure queste novità stentano a emergere. O meglio, su Sky esistono lodevoli tentativi di serialità che mettono insieme epos italiano e stile americano (Romanzo criminale su tutti), ma il pianto greco viene dal duopolio Rai/Mediaset. Lo straniamento misto a sconcerto di chi ha visto la memoria del grande Walter Chiari sommersa da una involontaria parodia del nostro passato, ha purtroppo trovato riconfermati i guasti di sempre. È sicuramente un problema di produttori, di dirigenti, di standard tecnici e narrativi obsoleti, di ipocrisia storiografica e di totale mancanza di coraggio, eppure si rimane sempre sorpresi, anche perché non di rado sono coinvolti nei progetti personalità di calibro – pensiamo al cast all star del terribile Il segreto dell’acqua.
Il fatto è che, mentre qui ancora arranchiamo cercando di migliorare la fiction e importando presunti talenti dal cinema, contemporaneamente nel mondo angloamericano – e non solo, si pensi al boom delle serie nordeuropee – si è capito che funziona il contrario. È la serialità televisiva a dettare la linea, a stimolare il cinema, a promuovere modelli differenti di immaginario, a mordere il freno. E infatti, a riprova, uno dei migliori film italiani degli ultimi tempi – ACAB – è stato salutato con entusiasmo per il fatto che non somiglia troppo a una pellicola italiana, e perché importa dalla tv un talento come quello di Stefano Sollima e ne mantiene intatta le caratteristiche di rinnovamento linguistico (rappresentazione urbana metallica e tesa, sguardo aspro sul presente, assenza di giudizi morali preconfezionati, esplorazione del cinema di genere come forma di prosciugamento di ciò che è inutile o arzigogolato, etc.).
Sembreranno problemi da poco, in tempi di crisi economica, disoccupazione alle stelle, tensioni sociali e tramonto della politica. E invece è proprio da qui che si ricomincia a costruire un’identità nazionale, esattamente come l’America di Bush e Obama è stata compresa fino in fondo (e persino rimodellata) assai meglio dalla serialità che non dalla produzione cinematografica.