Il coraggio del Cinema
In un mondo inondato di baby star e addomesticato al comandamento di matrice pubblicitaria “è un paese (solo) per giovani”, è stato lo sguardo ottuagenario di Paolo e Vittorio Taviani sulla realtà a vincere la ritrosia dell’Orso dorato targata Berlino n°62.
Folgorati sulla via del carcere di alta sicurezza di Rebibbia – una sera in cui i detenuti declamavano i versi dell’Inferno dantesco – i registi toscani non si sono lasciati sfuggire l’occasione per proporre un connubio alternativo. Nasce, infatti, dal desiderio di sperimentazione un’opera che amplifica la portata espressiva del testo teatrale di riferimento, il Giulio Cesare di William Shakespeare. La cornice spazio-temporale della tragedia si slabbra per distribuirsi su due piani di finzione distinti, e l’oggettività naturalistica del colore lascia il posto a un avvolgente bianco e nero. Segno iconico del vissuto dei detenuti, di una conflittualità rabbiosa che li divora dentro, il bianco e nero ridefinisce lo spazio carcerario come luogo dell’anima, accentuandone la frammentarietà in contrastanti zone d’ombra e parti in luce. I primi piani del generale Giovanni Arcuri (Cesare) e dei congiurati traditori – “uomini d’onore” come Salvatore Striano (Bruto) e Cosimo Rega (Cassio)- diventano affreschi materici di un’umanità dolente, mappe esistenziali solcate dall’odio, dal rimpianto, dalla solitudine. Gli eroi shakespeariani riaffiorano, così, sui volti e sulle bocche di reietti della società che attraverso di loro trovano nuove voci per urlare il proprio dolore. Potenza dei versi del Bardo, la cui universalità e attualità vengono ribadite nella trasposizione dialettale eseguita dagli interpreti; e sapienza del montaggio cinematografico, capace di accentrare tragedia teatrale e “verità” filmica in un flusso continuo di realtà sovrapposte. Dramma individuale e collettivo si (con)fondono in sussurri di lacerante angoscia, note di umana sofferenza frammiste a quelle struggenti ed essenziali del sax compassionevole di Giuliano Taviani. Per le esplosioni di gioia e i sogni di fuga l’unico mondo possibile è quello a colori: delizioso e ingannevole come un trompe-l’oeil, seducente e transitorio come una platea in delirio. Massiccio e sostanziale è, invece, il cinema dei Taviani: opera di testimonianza e atto di rivendicazione del diritto primario della vita – di ogni vita – di mostrarsi, esprimersi, farsi memoria. Per questo Cesare non deve morire: è Cinema coraggioso, necessario.