A te famiglia!
Da tempo riecheggia il ritornello per il quale l’horror è un genere che ha smarrito la sua capacità di essere radicale, di rielaborare e affrontare ciò che tipicamente rimane nel campo del non detto e di esorcizzare paure profonde. È un genere sempre più spesso considerato definitivamente regredito all’adolescenza e quasi impaurito di dire e mostrare troppo.
Allo stesso tempo però ogni anno questo ritornello pare essere messo in discussione da singoli film che fanno ritrovare quell’inquietudine che ti accompagna anche ben oltre i titoli di coda. The Babadook di Jennifer Kent, Goodnight Mommy di Veronika Franz e Severin Fiala, The Wailing del coreano Na Hong-jin, The Witch di Robert Eggers e Hereditary – Le radici del male di Ari Aster sono alcuni esempi, talvolta divisivi e altre meno, di film celebrati come possibili nuovi punti di partenza per il cinema del terrore.
L’esordio alla regia di Aster è l’ultimo arrivato di questo gruppetto di opere che hanno in comune anche il fatto di affrontare il lato oscuro della famiglia rielaborando tare, non detti, invidie e sensi di colpa interni alle mura di casa, quasi giocando a metà strada tra il soprannaturale esplicito e il “realismo” di condizioni e stati d’animo. Le tensioni raccontate da Hereditary infatti nascono dalle eredità paranormali di un invadente matriarca dedita al satanismo e allo spiritismo ed esplodono in seguito ad una concretissima tragedia famigliare. L’evidente cornice soprannaturale di fondo racchiude quindi il racconto di sentimenti e rapporti di per sé assolutamente plausibili, tanto che il film può essere diviso in tre parti; inizia come un horror, quasi lo accantona nella parte centrale colorata dal nero angosciato del dramma famigliare per poi riprenderlo in maniera parossistica, come seguendo un climax. Lo svelamento delle zone d’ombra della famiglia è del resto uno dei canoni principali dell’horror moderno, fin dai tempi di Rosemary’s Baby o di Non aprite quella porta. Non c’è infatti molto di nuovo nel film di Aster, che si nutre di modelli radicati – Polanski su tutti – e che semmai dà forza alla distinzione tra archetipi e stereotipi. Banalmente, Hereditary funziona perché fa davvero paura. Inquieta grazie ad uno stile forte e allo stesso tempo in grado di restituire l’essenza ruspante e un po’ sporca del genere, perché non teme di eccedere anche sfidando il ridicolo e perché non cerca compromessi con il buon gusto e gli estremisti della verosimiglianza. Certo, non sempre tutto funziona, ma in fin dei conti il risultato è quello di una sana e genuina paura quasi “d’altri tempi”, nata anche dal fatto che in gioco ci sono drammi, rapporti e tensioni plausibilissimi.
Hereditary – Le radici del male (Hereditary, USA 2018) REGIA Ari Aster.
CAST Toni Collette, Alex Wolff, Gabriel Byrne, Milly Shapiro, Ann Dowd.
SCENEGGIATURA Ari Aster. FOTOGRAFIA Pawel Pogorzelski. MUSICHE Colin Stetson.
Horror, 127 minuti