Realtà e immaginario: a che punto siamo con Matrix?
Dall’interessante esposizione Venice Virtual Reality e l’uscita di Ready Player One, fino agli strani meandri di VRChat, è ormai chiaro che nel 2018 una parte dell’industria creativa ha deciso che la realtà virtuale sarà il futuro dell’intrattenimento audiovisivo. Si tratta di una previsione fondata o dell’ennesima trovata per rilanciare un mercato in crisi?
La realtà virtuale (o VR dall’inglese Virtual Reality), un ossimoro già nel nome, altro non è che un sistema di isolamento dello sguardo, proprio come la sala cinematografica ma ancora più avvolgente. Da questo punto di vista, la tecnologia è matura perché l’aumento di qualità dell’immagine, intesa come risoluzione e spazio colore, è stato fondamentale per garantire l’immersione dello spettatore in uno schermo che va posto a distanza di pochi centimetri dagli occhi. Al casco si possono aggiungere altri gadget che, a seconda del tipo di simulazione cui prendiamo parte, aumentano il realismo stimolando gli altri sensi.
Di solito, la realtà virtuale prevede un minimo di interattività, la cui natura può essere suddivisa in due grandi categorie. La prima, che chiameremo “interazione debole”, appartiene a quei prodotti, spesso filmati in piano sequenza con telecamere 360°, che ci consentono solamente di muovere lo sguardo mentre viviamo dall’interno una storia sceneggiata proprio come un film narrativo. A questa categoria appartiene la maggior parte dei cortometraggi in VR e tutti quegli esperimenti che sono imparentati col cinema. L’azione dell’utente è spesso ridotta all’osso e risulta interessante solamente quando il regista, sfruttando correttamente le possibilità offerte dalla tecnologia, crea immagini con molteplici punti d’interesse e ci lascia la facoltà di scegliere su quale posare lo sguardo. È sciocco filmare immagini sferiche per poi preoccuparsi di attrarre l’attenzione su un solo particolare della scena, il cinema tradizionale è molto più efficace quando si deve guidare lo sguardo. Proprio come in un walking simulator, il film che sfrutta la realtà virtuale può narrare una storia interattiva senza richiedere che lo “spettatore” afferri oggetti o spari colpi di pistola, come accade in Ashes to Ashes, che racconta la storia di una famiglia disfunzionale dal punto di vista di un’urna funeraria, o The Invisible Man, che ci mette nei panni di un piccolo trafficante di droga in debito con un malavitoso psicopatico.
L’altra categoria, che chiameremo “interazione forte” ed è di gran lunga la più interessante, è quella dei giochi in VR che richiedono all’utente di interagire continuamente e in modo significativo con l’ambiente circostante. Se, da una parte, l’illusione di realtà è aumentata dalla possibilità di influire maggiormente sulla storia, dall’altra è sabotata dalla grafica tridimensionale (che, per quanto avanzata, è sempre stilizzata) e dalla necessità di comandare il proprio personaggio tramite i tasti o i movimenti di un controller anziché col proprio corpo.
A metà strada tra le due categorie ci sono, ovviamente, numerosi esperimenti: dalle installazioni artistiche, stanze virtuali interattive e prive di una vera e propria narrazione, alle chat virtuali, tra le quali bisogna citare VRChat per lo straordinario contrasto tra la naturale tendenza al realismo che la realtà virtuale si porta dietro e l’anarchia dissacrante che, quasi in modo naturale, s’impossessa dei luoghi d’incontro massivo su internet, specialmente quelli ad accesso gratuito.
I tempi sono maturi, ormai non c’è alcun dubbio, perché nasca un vero e proprio mercato della realtà virtuale, tuttavia è difficile dire se la sua diffusione sarà così totalizzante come alcuni prevedono e se andrà davvero a sostituire le forme d’intrattenimento esistenti. Il cinema, ad esempio, è una forma d’arte che non necessita dell’interazione e la sala cinematografica resta insostituibile come luogo di massa e di presenza fisica. La realtà virtuale, quindi, non sembra ancora contendere una fetta di mercato, pur stuzzicandoci con l’idea delle sale virtuali e di forme d’intrattenimento ibrido. Persino i video porno in VR, nonostante siano presenti su tutti i maggiori portali, restano una curiosità della quale nessuno sa esattamente che cosa fare.
Sono, invece, i videogiochi a porre i quesiti più complessi: con alcuni titoli ben riusciti (Resident Evil 7) e il recente successo di una fantasia spielberghiana (il già citato Ready Player One), alcuni vedono già come naturale e prossimo il travaso dell’intero mondo videoludico dentro la realtà virtuale. Tale eventualità, decisamente remota, sarebbe incredibilmente dannosa alla varietà dei videogiochi. La tecnologia VR è inseribile, infatti, in una più ampia tendenza emozionale ed esperienziale del gioco, che ci pone in prima persona dentro un mondo fotorealistico e tenta di appagarci con tutto l’armamentario visivo del cinema blockbuster. “Immergere il giocatore e sbalordirlo” è l’imperativo dell’odierno gioco ad alto budget e non si sbaglierebbe a immaginare il VR come un’ulteriore evoluzione della sua estetica appagante e tendenza al coinvolgimento sensoriale ed emotivo, ma non bisogna dimenticare che esistono numerosi titoli di strategia, gestionali e GDR che non tentano di appagare i nostri sensi, anzi. A nessuno piacerebbe veder sparire il gioco degli scacchi solo perché la tecnologia ci permette di intrattenerci in modi più immediati ed entusiasmanti e la realtà virtuale deve restare solamente una possibilità, un dispositivo tra i tanti, e non “il futuro dell’industria”. È importante ricordarselo o tutte le forme di gioco e di racconto per immagini subiranno un impoverimento.