36° Torino Film Festival, 23 novembre – 1 dicembre 2018, Torino
Nel nome del padre
Come spesso capita nei festival, anche nei primi giorni della 36° edizione del Torino Film Festival c’è stato un filo quasi invisibile che ha unito e legato film diversi tra loro: il senso, il rimpianto e il desiderio della paternità sfuggita, agognata, improvvisa e riemersa. Sono opere che raccontano personaggi per i quali la riapparizione del figlio, reale come “improvvisato”, biologico come estraneo, mette in moto processi di catarsi e rinascita.
Si prenda l’esempio di Atlas, promettente opera prima del tedesco David Nawrath, selezionata per il concorso. È un noir introspettivo e interiore dove la cupezza dell’anima è specchio della durezza e del cinismo del contesto sociale. Protagonista è Walter, laconico “traslocatore” di una compagnia di recupero crediti evidentemente collusa con le torbidezze finanziarie e con l’inquinamento del mercato immobiliare. Il suo volto, i suoi gesti e i suoi atteggiamenti portano i segni di un passato pesante e invadente, di un rimorso e di una mancanza che riemergono pian piano e con sempre maggior vigore dopo che il lavoro del protagonista e la violenza torbida che sta dietro riaccendono i fili con la figura decisiva di questo passato: il figlio. Nawrath, con uno stile posato e asciutto e una regia invisibile ma capace di piccole finezze (il leggero movimento di macchina nella sequenza dell’interrogatorio della polizia, per esempio) in grado di descrivere stati d’animo e passaggi decisivi, si mostra decisamente abile nel raccontare questo processo catartico, togliendo il velo dal passato dettaglio dopo dettaglio e svelando con una sorta di “suspence della pazienza” l’assenza decisiva. L’esordiente e promettente regista trasforma così il ritratto psicologico della prima parte in un noir classico, condito da inseguimenti, piccoli intrighi e violenze. Un noir che ad ogni modo continua ad affidarsi soprattutto alle atmosfere più che all’azione, rimanendo così ancorato alla sofferenza e alla tenacia del protagonista e trasmettendo tutto il potere del passato che non passa, se non con azioni estreme. Il sacrificio catartico è infatti un’ultima e definitiva resa alle eredità di questo passato, unico paradossale modo per essere almeno una volta quella figura di padre che Walter non è mai stato e che ha sempre rimpianto.
Lasciamo il concorso e arriviamo alla sezione “Festa Mobile”, così come abbandoniamo il fascino malinconico della Berlino periferica e raggiungiamo quello più vitale della Sardegna rurale e poco turistica. Ovunque proteggimi di Bonifacio Angius è, per intenderci sinteticamente, una versione meno banale e più vivace e ruspante de La pazza gioia di Paolo Virzì. È la storia di una fuga impossibile e utopica (forse): quella di Alessandro, cinquantenne cantante folk fallito e vittima di alcool, slot machine e altri eccessi, e di Francesca, giovane madre a cui è stato tolto l’amato figlio. I due si incontrano in una casa di cura in seguito al ricovero coatto di lui e, in qualche modo, si trovano. Nella cornice di commedia on the road vitale e malinconica, disperata e gioiosa, aperta da veloci squarci surreali e popolata da due personaggi veri anche in certi eccessi quasi macchiettistici delle loro caratterizzazioni, Alessandro scopre il senso di responsabilità e rimedia ad una vita di delusioni, illusioni ed eccessi improvvisandosi, prima quasi inconsapevolmente e poi con fierezza, padre di due figure perse e disperate come lui. Anche in questo caso, la catarsi e il definitivo compimento di questo processo richiedono un sacrificio, che ancora una volta consiste nel sconfiggere il passato “usandolo” e diventandone una volta per tutte, ma solo apparentemente, vittima.
Ancora in “Festa Mobile”, troviamo un Eric Cantona gigantesco protagonista, accanto alla giovane e promettente Manal Issa, di Ulysse & Mona di Sébastian Betbeber. Una vicenda abbastanza classica – la storia di un artista burbero e isolato dal mondo che, dopo aver saputo di aver un tumore incurabile, decide di rimediare ai propri errori – resa originale dal tono di commedia amara e paradossale, talvolta quasi surreale, a metà strada tra Jarmusch e Kaurismaki, e riempita dal corpo e dalla bravura dell’ex fuoriclasse del Manchester United. Un film che evita l’approccio più scontato e sdolcinato al tema senza però cadere nell’estremo opposto del cinismo, scegliendo appunto la strada del paradosso. La paternità fuggita e ricercata è sì da un lato quella “classica” del perdono richiesto al figlio, ma soprattutto traspare nel rapporto di guida affettuosa con la giovane fan studentessa di belle arti che si improvvisa sua assistente in questo viaggio interiore: è a lei, in un rapporto di crescita e di aiuto reciproco, che il protagonista, probabilmente per la prima volta in vita sua, trasmette qualcosa, comportandosi come un punto di riferimento, con i pregi e i difetti tipici di una figura paterna, ma anche con la consapevolezza del ruolo.
Infine, nella sezione “Afterhours” è stato presentato High Life, rilettura molto personale della sci-fi distopica da parte di Claire Denis. In un futuro in cui i condannati a morte non vengono uccisi ma mandati nello spazio a bordo di un’enorme astronave dove la realtà assume le connotazioni del post-umano. Gli istinti, i piaceri, l’erotismo, la maternità, i desideri e i corpi sembrano simulacri, pure parvenze esteriori e vuote, semplici ricordi e succedanei di ciò che erano e significavano. La natura però presenta il conto, sia con scoppi di violenza improvvisi ed espliciti, sia con un inedito e improvviso rapporto padre-figlia. In qualche modo questo rapporto è il lumicino di speranza e umanità in un film duro, disperato e quasi terrorizzante per le numerose riflessioni filosofiche e sul futuro dell’umanità, ma anche capace di essere paradossalmente dolce per la bellezza “pura” di molte sequenze e per la forza che trasmette questo rapporto padre/figlia.
Atlas (id., Germania 2018) REGIA David Nawrath.
CAST Rainer Bock, Albrecht Schuch, Thorsten Merten, Uwe Preuss, Roman Kanonik, Nina Gummich.
SCENEGGIATURA David Nawrath, Paul Salisbury. FOTOGRAFIA Tobias von dem Borne. MUSICHE Enis Rotthoff.
Noir/drammatico, durata 99 minuti.
Ovunque proteggimi (id., Italia 2018) REGIA Bonifacio Angius.
CAST Alessandro Gazale, Francesca Niedda, Antonio Angius, Gavino Ruda.
SCENEGGIATURA Bonifacio Angius, Fabio Bonfanti, Gianni Tetti, Vanessa Picciarelli. FOTOGRAFIA Pau Castejon Ubèda. MUSICHE Carlo Doneddu.
Commedia, durata 99 minuti.
Ulysse & Mona (id., Francia 2018). REGIA Sébastian Betbeder.
CAST Eric Cantona, Manal Issa, Quentin Dolmare, Jean-Luc Vincent.
SCENEGGIATURA Sébastien Betbeder. FOTOGRAFIA Romain Le Bonniec. MUSICHE Minizza.
Commedia, durata 82 minuti.
High Life (id., Germania/Francia/Regno Unito/Polonia/USA/Canada 2018) REGIA Claire Denis.
CAST Robert Pattinson, Juliette Binoche, Mia Goth, André Benjamin, Jessie Ross, Scarlett Lindsey.
SCENEGGIATURA Claire Denis, Jean-Pol Fargeau. FOTOGRAFIA Yorick Le Saux. MUSICA Stuart A. Staples.
Fantascienza, durata 110 minuti.