Cinema poetico o poesia cinematografica?
Trasporre la poesia sullo schermo è sempre stato uno degli obiettivi, variamente declinato e interpretato, di chi ha fatto cinema per arte o anche solo per spettacolo. C’è chi ha puntato sullo stile e chi sulla narrazione, chi ha declamato con le parole e chi con le immagini, chi ha trasformato la poesia in film e chi di un film ha fatto una poesia.
Jodorowsky è un artista multiforme già in partenza, abituato a mescolare e a passare dall’una all’altra forma artistica, senza distinguere e senza neppure avvertirne la distinzione. Le sue opere non sono somme di parti che cooperano e mostrano le sfaccettature di un tema o di una storia, ma sono ritagli di misture già assemblate e realizzate da cui è impossibile risalire agli ingredienti di partenza. Poesia senza fine è un film fatto di poesia e con la poesia. È un’autobiografia che isola due momenti fondamentali di iniziazione e maturazione poetica, dapprima negli aspri conflitti con il padre e con la famiglia e in seguito nel rapporto con sé stesso e nella conquista di un’identità libera e davvero sciolta da ogni influenza. Il giovane Alejandro nasconde inizialmente la sua passione per la poesia, sente fortemente il peso delle aspettative del padre che va dicendo ovunque «Mio figlio sarà medico!». La macchina da scrivere sotto il letto e i fogli di poesie bruciati non appena riempiti di versi gli insegnano il valore dell’istante, dell’eterno presente: nulla si deve al passato e nulla si deve preparare per il futuro, «Vivere!», «Osare!» e mai fermarsi, mai avere paura, mai negare quello che si è per essere quello che gli altri vogliono che si sia. Quando si trasferisce in uno stabile occupato da poliedrici, ma anche strampalati, artisti la sua vita cambia e prende forma, la presenza di un poeta eccita tutti come quella di un essere superiore, capace di vedere, sentire, provare, attraverso questo mondo, un mondo che va oltre, un mondo solo suo. Tutta la rabbia e tutto il sublime confluiscono, assieme alla dolceamara lontananza dei ricordi, in ciascuna sequenza: la densità poetica e immaginifica è costantemente alta e non conosce rallentamenti. Lo spettatore è travolto da maschere e colori, da situazioni sempre a cavallo tra il simbolico e l’assurdo, ogni cosa si traveste e si trasforma perché per un poeta ogni cosa è sé stessa ma anche innumerevoli altre cose. Si passa nella stessa inquadratura da recitazione naturalistica a pose teatrali, dal canto quasi operistico a coreografie di danza contemporanea senza avvertire la minima frattura, in un miracolo di coerente incoerenza. Tra i film che passano in sala avere qualcosa di simile è quasi un privilegio, una rarità nel progressivo uniformarsi di stili e tendenze. La distribuzione di quest’opera è la dimostrazione che la poesia, in ogni sua manifestazione, è ancora “senza fine” e ben lontana dal dissolversi.
Poesia senza fine [Poesia sin fin, Cile/Francia 2016] REGIA Alejandro Jodorowsky.
CAST Adan Jodorowsky, Brontis Jodorowsky, Jeremias Herskovits, Pamela Flores.
SCENEGGIATURA Alejandro Jodorowsky. FOTOGRAFIA Christopher Doyle. MUSICHE Adan Jodorowsky.
Biografico, durata 128 minuti.