Cinica goliardia e spietata irriverenza di un nobile
Monicelli era un grande narratore, un cantastorie di quelli vibranti, sagaci, che scriveva di personaggi irriverenti, sagaci e “cattivi”: uno di questi è sicuramente Il marchese del Grillo, film del 1981 grazie al quale vinse il premio per la Miglior Regia al Festival di Berlino e due David di Donatello per Miglior Scenografia e Migliori Costumi.
Onofrio del Grillo, interpretato da Alberto Sordi, vive il XIX secolo, quello delle campagne napoleoniche, vagando per la Roma papalina, gozzovigliando e frequentando bettole, bische clandestine e donne di ogni genere. Le carnevalate e le amenità al marchese piacciono, si prende gioco delle Istituzioni, dei suoi pari, ma anche di se stesso, rappresentando una figura scomoda, spesso arrogante e piena di sé, appagato dai privilegi del suo ruolo. Onofrio è metafora di un tempo che cambia: è colto ma triviale, devoto; cinico e irriverente perfino con il Papa, adora la madre, vive nella ricchezza ma tende con trepidante attesa al futuro, sa essere crudele − pensiamo alla sorte del povero Aronne Piperno – ma anche generoso. In Onofrio c’è tutta quella voglia di rigenerazione che caratterizza solo le persone lungimiranti e di vedute aperte: il marchese mal sopporta il passato, di cui disfarsi per poi ricostruire, e quelle idee vecchie e stantie, figlie di un oramai superato modello che incombono su tutto, ma soprattutto su di lui. La famiglia di Onofrio non comprende né il suo spirito che guarda al nuovo né la fine del Medioevo. Ciò è chiaro nel dialogo tra Onofrio e la madre che non vuole vedere gli amici francesi del figlio: “Mamma il Medioevo è finito, la Chiesa, il papato e tutti noi siamo finiti, e so’ proprio ‘sti francesi, che tu disprezzi tanto ad aver portato una ventata d’aria nuova”. “Io me so’ vendicato, me so’ divertito”, in queste parole si evince tutto ciò che è il marchese, un uomo che ama giocare con la vita, la sua e quella degli altri: il gioco più riuscito è quello di Gasperino il carbonaro. L’uomo sembra essere il gemello di Onofrio, ma la sua vita è completamente diversa. Il “s’è svegliato” del carbonaro è, come dice Ricciotto, fedele servitore e compagno d’avventure di Onofrio, “tutto da ride”, una prova recitativa da maestro da parte di Sordi che impersona l’essere più infimo della società. La postura dell’attore si modifica, l’accento romano si fa più marcato, il volto dell’attore truccato è rubicondo; la metà popolana del marchese fa difficoltà a calarsi in quel gioco di ruolo alla principe e il povero, in cui il marchese l’ha costretta, più che altro si adagia fin da subito in quello che le appare essere un sogno. In realtà Carbonaro e Marchese sono due facce della stessa medaglia. Monicelli, tra cinismo e ironia, tra scherzi e verità, inscena una sfida continua, contro tutto e tutti, che non teme né giudizi, né giudici. Le sue non sono però “zingarate” fini a loro stesse, come lo erano quelle degli Amici miei, ma sono una sorta di gioco al massacro che non risparmia niente e nessuno, che disvela con chiarezza e lucidità limiti e ingiustizie di un mondo destinato a finire.
Il marchese del Grillo [id., Italia/Francia 1981] REGIA Mario Monicelli.
CAST Alberto Sordi, Caroline Berg, Andrea Bevilacqua, Flavio Bucci, Elena Fiore.
SCENEGGIATURA Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Mario Monicelli, Tullio Pinelli, Alberto Sordi. FOTOGRAFIA Sergio D’Offizi. MUSICHE Nicola Piovani.
Commedia, durata 135 minuti.