SPECIALE DUELLANTI
Il montaggio di McEnroe, la narrazione di Borg
Freddezza contro calore, austerità contro sregolatezza, calcolo contro impulsività. Sono queste le dialettiche messe in campo da Borg McEnroe, film vincitore dell’ultima Festa del Cinema di Roma dedicato a una delle più importanti delle quattordici sfide tra i grandi tennisti Björn Borg e John McEnroe: la finale di Wimbledon del 1980.
Un soggetto di partenza, quello dell’opera in questione, dalle grandi potenzialità drammatiche e spettacolari: se l’opposta personalità dei protagonisti (la sobrietà di Borg, l’irruenza di McEnroe) forniva la possibilità di realizzare degli interessanti ed emozionanti ritratti psicologici di due uomini agli antipodi, l’alto livello sportivo della gara costituiva una bella occasione per girare delle sequenze cinematograficamente raffinate e appaganti. Purtroppo, però, il risultato è – nell’insieme – piuttosto deludente, soprattutto a causa di una sceneggiatura debole e negligente. Infatti, mentre l’effetto spettacolare è garantito da una regia e da un montaggio a tratti adrenalinici che riescono a restituire i momenti più tesi ed eccezionali della sfida, il racconto risulta al contrario piuttosto sfilacciato e superficiale. Questo non solo perché la narrazione del torneo e della partita risulta a tratti confusa e seguibile soprattutto da chi conosce le regole del tennis, ma anche perché lo script non descrive in modo sufficientemente approfondito la psicologia dei protagonisti, impedendo di provare empatia per almeno uno di loro. Così, se del carattere e del passato di McEnroe viene detto molto poco per lasciare più spazio alla figura di Borg (vero centro del lavoro), di quest’ultima vengono rivelate le ossessioni e le manie che si celano dietro il suo atteggiamento freddo e distaccato. Una serie di elementi psichici interessanti giustamente svelati in modo graduale, ma purtroppo trattati in maniera superficiale ed elusiva: qui viene sì mostrata l’aggressività nascosta dell’uomo, ma non ne vengono spiegate e raccontate le origini e le ragioni, lasciando il pubblico senza la possibilità di comprendere appieno la personalità del protagonista. Caratteristiche narrative e linguistiche ci trasmettono la sensazione di trovarci di fronte a un film dal montaggio adrenalinico come la personalità di McEnroe e dal racconto senza emotività come l’immagine pubblica di Borg. Il risultato è così quello di un’opera a tratti spettacolare, godibile e con alcuni momenti interessanti, ma complessivamente fiacca e inefficace perché senza quel forte elemento drammatico che l’avrebbe resa davvero coinvolgente ed emozionante. Un’occasione piuttosto sprecata, tenendo anche conto del promettente materiale di partenza.
Born McEnroe [id., Svezia/Danimarca/Finlandia 2017] REGIA Janus Metz.
CAST Sverrir Gudnason, Shia LaBeouf, Stellan Skarsgård, Tuva Novotny.
SCENEGGIATURA Ronnie Sandahl. FOTOGRAFIA Niels Thastum. MUSICHE Jonas Struck, Vladislav Delay, Jon & Carl-Johan Sevedag.
Drammatico/Sportivo/Biografico, durata 100 minuti.