13° Biografilm Festival – International Celebration of Lives, 9–19 giugno 2017, Bologna
Abbiamo bisogno di un manifesto dei manifesti?
Lo spettatore contemporaneo assorbe tutto e non si stupisce di nulla, anzi, si fregia della propria bulimia che diventa “apertura mentale”. Il prezzo che paghiamo è la scomparsa delle grandi passioni e delle idee totalizzanti: che fine hanno fatto le avanguardie coi loro proclami e la loro idea di un’arte “giusta”?
Se lo chiede Julian Rosenfeldt che in Manifesto ci propone alcuni passaggi significativi dei manifesti più famosi: futurismo, dada, surrealismo, comunismo (da quest’ultimo è scelto un passaggio che discute il ruolo degli artisti) e molti altri sono recitati dall’istrionica Cate Blanchett. Si tratta di brani dalla forza indiscutibile, ognuno dei quali sostiene una particolare poetica dell’arte come l’unica corretta per rappresentare la modernità. Il film di Julian Rosenfeldt le nega tutte dalla prima all’ultima poiché non si schiera e si limita a sottoporcele, cambiando abito da una scena all’altra con la facilità con cui Cate Blanchett cambia faccia e accento. C’è una contraddizione di fondo: Manifesto ci propone una sessantina di poetiche diverse, ognuna delle quali si crede assoluta e non ammette di essere solamente “una fra le tante”. È un film che, in un modo o nell’altro, racconta la storia dell’arte, solo che molte fra le correnti che propone (il dadaismo e il futurismo su tutte) sono antistoriche e quindi odierebbero Manifesto. Tale contraddizione è ancora più evidente se si considera che il film nasce come un’installazione artistica dove diversi schermi proiettano in contemporanea i vari segmenti. Se si sorvola su questa incoerenza, Manifesto può essere un’esperienza molto positiva perché la qualità della recitazione è altissima e le immagini interpretano i brani in modo quasi sempre interessante. Il Manifesto Dada, per esempio, è recitato come un elogio funebre, lo stridentismo diventa il blaterare di un punk mezzo ubriaco mentre il Manifesto del Futurismo è il monologo interiore di un broker senza scrupoli. Si va avanti per un’ora e mezza di situazioni surreali, stranianti e ricche di umorismo. Quest’ultimo è particolarmente forte nella sezione dedicata all’arte concettuale e al minimalismo, dove la Blanchett diventa contemporaneamente un anchorman e il suo inviato o nella sequenza finale, dove una maestra spiega ai suoi alunni i precetti del Dogma 95 e le dichiarazioni di Werner Herzog e Jim Jarmusch. In tutto questo caos di poetiche discordanti, Manifesto rimane al bordo del ring e si limita a ricordarci che l’arte ha bisogno di idee forti e di gente che si preoccupa di quale sia il modo migliore per rappresentare il nostro mondo.
Manifesto [id., Germania/Australia 2015] REGIA Julian Rosenfeldt.
CAST Cate Blanchett.
SCENEGGIATURA Julian Rosenfeldt. FOTOGRAFIA Kristoph Krauss. MONTAGGIO Bobby Good.
Drammatico, durata 95 minuti.