FilmForum 2017 – XXIV International Film Studies Conference, 29 marzo – 2 aprile 2017, Gorizia
All’alba dell’internet of things, in un mondo dove a comunicare non è l’uomo soltanto, ma gli stessi dispositivi possono trasmettere dati e dunque interagire, la Spring School goriziana si interroga se sia possibile immaginare una contemporaneità che vada oltre al concetto di postmoderno, capace di riunificare e rileggere il mondo mediale di oggi. Tra i diversi workshop organizzati durante FilmForum 2017, la sezione dedicata alla conservazione e preservazione del patrimonio cinematografico è significativa per comprendere il percorso di superamento dei concetti di moderno e postmoderno.
La pratica archivistica, che nasce come semplice collezionismo, si è sviluppata nel dopoguerra e in particolare negli anni ’60 e ‘70, ampliando le grandi narrative autoriali, nazionali, della “maggioranza”, e portando alla luce nuovi discorsi. Jan-Christopher Horak (Direttore dell’archivio cinematografico e televisivo della UCLA), ha raccontato come appunto la nascita di una vera pratica archivistica a livello internazionale abbia diretto l’interesse degli studiosi del cinema e favorito la riscrittura della storia stessa della settima arte. Il 1978 ad esempio segna un momento fondamentale nello studio del cinema “primitivo” dopo l’incontro della FIAF (International Federation of Film Archives) a Brighton.
L’identità di un archivio è a sua volta influenzata da fattori politici ed economici, visto che a finanziarlo sono governi, fondazioni o privati. Horak ha puntualizzato, nel suo keynote, che le preferenze curatoriali nelle scelte di conservazione vengono appena all’ultimo posto rispetto ad una serie di fattori di tipo storico, ideologico, economico e manageriale. L’identità di un archivio è dunque composta da un insieme di pratiche discorsive completamente diverse, che si influenzano reciprocamente e che spesso sono in conflitto. L’archivio cinematografico si adatta e si modifica, soprattutto nell’era digitale, dove formati e standard cambiano sempre più velocemente, per diventare “fluido”.
L’archivio e la storia del cinema e dei media, in un flusso di trasformazione continua, si domandano e ci domandano quale possa essere la loro identità, ora che le teorie postmoderniste e la condizione postmediale hanno decostruito le “grandi narrative” e riportato alla luce nuove genealogie e nuovi discorsi (anche tecnologici) “alternativi”. Che cosa c’è dopo il dopo?
Bruno Latour (citato da Ruggero Eugeni nel suo intervento alla Spring School) direbbe che in realtà non siamo mai stati moderni, che un processo dialettico tra modernità e non modernità, scienza e natura, non esiste. Il mondo è sempre stato complesso.