67. Berlinale – Berlin International Film Festival, 9 – 19 febbraio 2017, Berlino
La crisi del cinema d’autore e la sua ripartenza
In un festival di ricchezza straordinaria per quantità come quello di Berlino, di solito il meglio viene servito sulla distanza. Eppure, in una selezione 2017 che da più parti viene definita come deludente a prima vista, lo scatto di partenza dei primi giorni è importante, se non fondamentale essendo il primo weekend il più coperto dalla stampa e quello di maggior richiamo pubblico.
Il film d’apertura sembrerebbe dar fiato ai disfattisti: Django di Étienne Comar – racconto dell’avventura di Django Reinhardt in fuga dai nazisti dentro un altro olocausto, quello del popolo gitano – è un film dignitoso e doveroso, ben confezionato e volutamente medio, che fa il proprio dovere ma che si limita alle convenzioni del film civile per il grande pubblico, in cui la musica di uno dei maggiori musicisti del 20° secolo è solo uno degli ingredienti. Un prodotto convenzionale che apre un concorso che da sempre è più una spina nel fianco che un fiore all’occhiello del festival. Eppure, scorrendo l’elenco dei film che parteciperanno alla competizione della 67. Berlinale, non si può dire che manchino gli sguardi di autori che – se non nella storia del cinema – hanno un posto nel cinema contemporaneo: in ordine di apparizione Sebastian Lelio con Una mujer fantàstica, Sally Potter che affronta la commedia politica con The Party, Sabu che con Mr. Long presenta un imprevedibile noir, Aki Kaurismaki con The Other Side of Hope, Hong Sang-soo e la sua rilettura orientale del canone di Rohmer con On the Beach at Night Alone e Calin Peter Netzer, tra i nomi di punta del vitalissimo cinema rumeno con Ana, non amour. Di sicuro a questa Berlinale mancano (eccezion fatta per Kaurismaki) i nomi di punta, gli autori che smuovono i mari e i monti della cinefilia. Ma se forse fosse proprio questo il punto di partenza per ridefinire – come alcuni festival stanno cercando di fare da tempo, a volte però inascoltati – il concetto di cinema d’autore o di cinema da festival? Oltre a registi e film che o non si conoscono o si danno per spacciati (su tutti, Volker Schlöndorff), in concorso trovano posto anche un documentario – Beuys di Andrew Veiel – e un cupo film d’animazione cinese – Have a Nice Day di Liu Jian. Generi e linguaggi a cui di solito sono dedicati altri spazi, ma che sono la spinta vitale per ampliare il panorama del cinema che ha il posto d’onore in un festival. E anche su terreni consolidati, le prime avvisaglie di Berlino 2017 fanno pensare bene: On Body and Soul, ritorno al lungometraggio dell’ungherese Ildikò Enyedi, è una commedia sentimentale bizzarra e curiosa, capace di lavorare sulle inquadrature con cura quasi maniacale e di superare le schematicità e l’abuso di metafore con una messinscena che sa raccontare un paradossale amore nascosto sotto le menomazioni del corpo e del cuore; e anche The Dinner, trasposizione di Oren Moverman del romanzo di Herman Koch La cena, lavora con sapienza sull’inquadratura, sul suono disturbante, sul dialogo sovrapposto, sui tempi e gli inciampi per tramutare in stile filmico il disagio e il malessere dei propri personaggi con un dramma familiare spiazzante. Possiamo dire quindi che c’è vita a Berlino. E siamo solo all’inizio.