Il bimbo e la sua creatura
Empatia. Per quanto il medium per sua stessa natura porti a una vicinanza tra fruitore e personaggio, il gesto stesso del giocare rimane come una sorta di barriera, o àncora al proprio mondo. Non è un caso quindi che i videogiochi che più sono riusciti a suscitare empatia sono quelli che più di tutti hanno ripreso il linguaggio e la narrazione cinematografica come riferimento (The Last of Us).
Atteso per oltre un decennio, pensato per PlayStation 3 e poi adattato a PS4, The Last Guardian è un evento innanzitutto in quanto terzo videogame di Fumito Ueda, figura di vero e proprio culto. Ico e Shadows of the Colossus erano dotati di uno stile minimale, a partire dalla narrazione, silenziosa e solo accennata, mondi popolati da ombre e creature gigantesche, in cui il gameplay si basava su pochi comandi in grado di creare meccaniche stratificate tra puzzle e platform. Questa descrizione in linea di massima vale anche per The Last Guardian, in un certo senso una sintesi dei lavori di Ueda (figuralmente e contenutisticamente). Racconta l’incontro di un giovane ragazzo con una gigantesca creatura, Trico, con il quale, superate le diffidenze iniziali, darà inizio a un’avventura che vede i due costruire un rapporto quasi simbiotico. Riconoscibile fin dalla palette cromatica, The Last Guardian si amalgama perfettamente allo stesso mondo degli altri titoli di Ueda, tra magico e arcaico, in cui il senso misterico degli eventi prende il sopravvento. Narrativamente meno ermetico, tanto da utilizzare flashback e voice over, The Last Guardian oltre a questa cornice riconoscibile – sempre affascinante – parte da un presupposto alto, molto alto: creare un legame affettivo che non è solo tra il protagonista e Trico, ma tra il giocatore stesso e la creatura. Sicuramente lo sviluppo dell’intelligenza artificiale è stato il nodo principale, ci troviamo di fronte un essere che risponde liberamente a comandi indiretti, ma sempre di comandi si trattano. Si potrebbe parlare lungamente dei numerosi difetti tecnici che ancora oggi, dopo diverse patch, attanagliano il titolo (cali di frame rate, comandi poco reattivi e una telecamera che definire caotica è poco), ma sono “solo” schegge di un muro che i videogame devono del tutto superare, quel rapporto empatico di cui si parlava all’inizio. Chiaro come tutto ciò sia una provocazione, pensare di trovarsi di fronte a un titolo che presenti un’intelligenza artificiale così elaborata al giorno d’oggi rimane utopia, tanto più che The Last Guardian riesce a creare un coinvolgimento emotivo ben al di sopra della media, ma sempre legato a un linguaggio non proprio del media, cioè raccontando una storia e non interagendo pienamente con essa. In conclusione, Ueda nella sua ultima fatica riesce ad assottigliare questa barriera perché Trico è una creatura che, nella sua verosimiglianza comportamentale, sembra prendere vita, al netto di tutti i difetti di programmazione e game design; nel bene e nel male, un titolo spartiacque su quello che il media vuole essere per quanto riguarda almeno il coinvolgimento emotivo.
The Last Guardian [id., Giappone 2016] SVILUPPATORE Team Ico, SCE Japan Studio.
DISTRIBUZIONE Sony Computer Entertainment.
PIATTAFORME Playstation 4.
Avventura/Platform, durata 12 ore circa.
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