Meraviglia della cinefilia
Hugo Cabret non è un film perfetto: non lo è a causa di una sceneggiatura con qualche passaggio non convincente e non approfondito; è però anche un film che ti fa passare volentieri sopra i suoi difetti e le sue imperfezioni, che ti spinge a fare spallucce e a darne poca importanza, se non a ignorarle del tutto.
Questo non solo grazie ad una struttura e ad un impatto visivo eccezionali, ma anche per il trasporto con cui il regista trasmette la sua passione per il cinema e la sua storia e per l’empatia che riesce a creare. Alcuni potevano aspettarsi un’opera puramente commerciale, una concessione alla moda del 3d; invece, alla fine dei conti, Hugo Cabret si rivela come l’opera di Scorsese degli ultimi anni più stimolante, quella che meglio può essere affiancata alle medie dei suoi tempi d’oro, dopo esercizi di stile un po’ sterili (Shutter Island), film poco personali e sentiti (The Aviator) e non urgenti variazioni sui suoi temi tipici (The Departed): questi erano caratterizzati da un virtuosismo sempre più fine a se stesso e pezzi di bravura enormi ma sempre più isolati, mentre in Hugo Cabret il grande cinema non è una comparsata occasionale, ma si respira a lungo; le carrellate, le panoramiche, i virtuosismi non danno più l’impressione di essere bei reperti di un talento ormai stanco, ma sono a servizio delle emozioni e della meraviglia che accompagnano tutta la visione. C’è innanzitutto la meraviglia immediata dello spettatore (e c’è un po’ di rimpianto a non averlo visto con qualche anno in meno sulle spalle), poi c’è quella provata dai personaggi del film di fronte alla magia del cinema, che colpisce ognuno per un motivo diverso ma sempre inesorabilmente; infine, troviamo la meraviglia che ha caratterizzato e caratterizza l’amore incondizionato per la settima arte del regista italoamericano, simboleggiata proprio dall’entusiasmo dei protagonisti dell’opera. Scorsese ha messo se stesso, per esempio, nell’espressione trasognata dello studioso Rene Tabard quando riconosce Mama Jeanne e riproietta Il viaggio nella luna, e un attimo dopo vede George Méliès, suo mito, eroe oltre che oggetto di studi, così come c’è un po’ di lui nella piccola protagonista quando entra per la prima volta in un cinema, a vedere le comiche di Harold Lloyd. Hugo Cabret è un monumento alla cinefilia e alla settima arte, incarnata nella rappresentazione di uno dei suoi più importanti padri, Méliès, anche perché costituisce il lato narrativo, affabulatorio, dell’impegno con cui Scorsese da anni preserva il patrimonio cinematografico e ne divulga la storia, con i restauri di pietre miliari e opere meno conosciute, e con documentari come Viaggio nel cinema americano. Diventa quasi un invito a restaurare, a conservare, e un monito, caldo, appassionato e vivo, a non dimenticare e non perdere, come una fantasia che finisce con l’infanzia, la magia e la grandezza del cinema.
Hugo Cabret [Hugo, USA/Italia 2011] REGIA Martin Scorsese.
CAST Asa Butterfield, Chloë Grace Moretz, Ben Kingsley, Sacha Baron Cohen, Helen McCrory, Jude Law, Christopher Lee.
SCENEGGIATURA John Logan (dal romanzo La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick). FOTOGRAFIA Robert Richardson. MUSICHE Howard Shore.
Drammatico, durata 145 minuti.