Winter Apricots – Prilep International Film Festival, 16-17 dicembre 2016, Prilep (Macedonia)
A misura del proprio mondo
Nato quest’anno a Prilep, in Macedonia, per volontà di Elena Melloncelli, giovane filmmaker milanese, e Darko Gorgieski, architetto e graphic designer originario della città, Winter Apricots – Prilep International Film Festival è un piccolo evento che, fin dal proprio concept e dalla sua elaborazione visiva, si propone di portare qualcosa di colorato e “succoso” – proprio come un’albicocca – nel cuore del freddo inverno macedone.
Una metafora giocosa per descrivere un’intenzione molto concreta: poiché ogni luogo merita un evento culturale che lo gratifichi, un festival di cinema prende le misure sul mondo che lo accoglie, e prova a dialogare con esso nella speranza di una risposta sincera. Sia chiaro: accanto a un workshop sull’osservazione della città e a un’interessante programmazione fuori concorso (tra cui una selezione dal contest internazionale di videodanza Stories We Dance), i dieci cortometraggi internazionali in concorso sono tutto fuorché provinciali. Alla qualità tecnica complessivamente alta rispondono temi sensibili e storie stratificate e, allo stesso tempo, un’attenzione paritaria verso i generi della fiction e i linguaggi del documentario. Quello che più stupisce è la logica complessiva della programmazione, formulata per creare stimolanti frizioni di immaginario tra il desiderio di fare cinema, l’opportunità di guardare i film e il tentativo di raccontare mondi precisi, più o meno riconoscibili dal pubblico di Prilep ma certamente connessi al suo sguardo, alla sua esperienza. Se i corti documentari Cinema Boulevard, di Rouba Moukawem (Libano), Bubo’s Limbo di Alberto Iordanov (Regno Unito/Bulgaria) e Six Floors di Oleksandr Navrotoskyi (Ukraina) indagano gli spazi e la vita delle persone al loro interno secondo la prospettiva del tempo, la finzione risponde con Bellissima di Alessandro Capitani (Italia), Eden Hostel di Gonzaga Manso (Spagna) e Les Dauphines di Juliette Klinke (Belgio), che dei luoghi e delle relazioni cercano la loro dimensione più provvisoria, casuale, ora ironica, ora disperata. E se due film di animazione come 20 Kicks di Dimitar Dimitrov (Bulgaria) e Made in Spain di Coke Riobóo (Spagna) giocano rispettivamente a fare del mondo interiore un luogo e di un’intera nazione un piccolo paese di luoghi comuni, sono Death in a Day di Lin Wang (USA) e Blue Womb di Laura Bianco (Italia), molto diversi fra loro, a rappresentare gli estremi più interessanti del concorso: il primo raccontando l’elaborazione di una tragedia attraverso una messinscena mirabile degli spazi (in parte debitrice verso il cinema di Ozu); il secondo, con strumenti più che improvvisati a metà tra il cinema d’osservazione e la reinvenzione poetica, esplorando le tracce della Storia che si fanno Leggenda e si depositano sul fondo dell’identità di una comunità in cammino. Qualcosa di condiviso a qualsiasi latitudine, qualcosa che il cinema deve continuare ad ascoltare.