VENEZIA 73 – IN CONCORSO
Nostalgia del futuro
Diversi aspetti colpiscono, a caldo, nell’ultimo lavoro di Denis Villeneuve, presentato in concorso al Festival di Venezia e incentrato sul personaggio della linguista Louise Banks, ingaggiata dall’esercito americano per presiedere ai tentativi di comunicazione con una spedizione aliena sulla Terra.
Di fronte a Arrival non si può non pensare a Interstellar, al tentativo di riflettere sugli scarti non-lineari della vita interiore, e fare perno sull’idea del dolore, del lutto, come già nel film di Christopher Nolan, per poter esplorare attraverso il genere le potenzialità di un destino, la sua incidenza sull’azione e sulla relazione, la sua missione per il bene comune. Se Interstellar era però un preciso viaggio di esplorazione fra le galassie, una ricerca di fuga e salvezza, in Arrival l’azione è tutta terrestre, un territorio di trattativa in cui, a separare il suolo umano dall’ingresso delle navi aliene (che ad alcuni hanno ricordato il monolite kubrickiano), sono appena pochi metri di distanza. Varcare il confine invisibile di quella distanza, entro cui la gravità si inverte nel tempo di un salto, è il primo segno di un rovesciamento da portare a compimento, l’indizio della necessità di rinnovare l’orizzonte dei propri talenti. L’arco del personaggio affidato a Amy Adams è squisitamente processuale perché, partendo dal dominio pieno del linguaggio come strumento di conoscenza e connessione con l’altro e perfino con l’ignoto, Louise deve affinare la propria percezione delle cose per sconfiggere i limiti che, nel mondo, quello stesso linguaggio finisce per determinare. Nel timore infondato di un’invasione al pianeta e della guerra che potrebbe scaturirne, trascendere il limite significa abolire la paure e mescolare alla scienza una prova di fede, che in Louise significa ricomporre la circolarità di una vita smarrita, dove quello che sembrava un dolore del passato – la morte della figlia Hannah – si rivela un evento futuro da accettare, e concretizzare, nonostante tutto. Tra molti passi falsi e non pochi arrangiamenti, il racconto rivela il suo principale interesse proprio in quanto laboratorio del capovolgimento di un canonico prima-ora-poi. In questo quadro l’arrivo indicato dal titolo non è tanto quello degli alieni, ma il traguardo di un dolore che trova compimento nello stesso istante in cui l’esistenza assume un equilibrio, un senso. Un punto d’arrivo, perso nel futuro, di cui saper guarire la nostalgia.
Arrival [id., USA 2016] REGIA Denis Villeneuve.
CAST Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg, Tzi Ma.
SCENEGGIATURA Eric Heisserer. FOTOGRAFIA Bradford Young. MUSICHE Jóhann Jóhannsson.
Fantascienza, durata 116 minuti.