Prima che Melancholia arrivasse sulla Terra
Nella notte in cui viene annunciata la scoperta di un pianeta identico alla Terra, in costante avvicinamento, la diciassettenne Rodha, distratta ad osservarlo, provoca un incidente mortale. Dopo 4 anni di carcere, ancora prigioniera del senso di colpa, decide di bussare alla porta dell’uomo a cui uccise moglie e figlio.
E’ l’incipit di Another Earth, primo film del documentarista americano Mike Cahill. Presentato a gennaio 2011, al Sundance Film Festival, è difficile capire per quali logiche di mercato la distribuzione italiana lo porti nei nostri cinema così tardi.
Come nel recente Melancholia, del quale è anteriore di 4 mesi, siamo di fronte ad un evento cosmico che, anche qui, è poco più di un espediente per scavare nella psicologia dei protagonisti. L’esistenza di un pianeta speculare alla Terra, in cui potrebbe vivere un nostro doppio che agisce/ha agito diversamente da noi, ci interroga su vecchi e nuovi quesiti esistenziali lasciandoci, questa volta, una flebile speranza di un destino benevolo. Se il totale nichilismo di Von Trier non dava scampo a Justine e Claire, e con loro al genere umano, Cahill non esclude alla sua Rodha la teorica possibilità di una seconda chance. Ad ogni modo, senza svelare l’epilogo, la differenza tra i due film va oltre la filosofia che li guida e i paragoni rischiano di essere azzardati. A voler cercare delle analogie, si potrebbe citare il più lontano Doppia immagine nello spazio (1969) o il più grande Solaris (1972), che resta ancora oggi la vera “stella” di riferimento per questi e altri piccoli “pianeti”. La cosa importante è che Cahill dimostra di poter realizzare un’opera di qualità malgrado un budget irrisorio (intorno ai 200.000 dollari). Lo stile documentaristico, in cui si denota la sua formazione, riesce a mantenere un singolare equilibrio tra ordinario e surreale, lasciando la storia magicamente sospesa “ai confini della realtà”. Il film è a volte superficiale nella (pur coerente) sceneggiatura. Forse un po’ ingenuo nell’ipotesi fantascientifica o quando afferma che rispetto ai misteri dell’universo “quello più grande siamo noi sotto la lente” (ovvero la mente umana). Ma Another Earth ha un fascino particolare. Colpisce per una fotografia raffinata e una regia priva di fronzoli, ritmica come le parole in radio che fanno da voce narrante e in perfetta sintonia con la recitazione degli attori. Dei due protagonisti, la quasi sconosciuta Brit Marling è una sorpresa e il regista ne sfrutta tutte le potenzialità cercando il suo volto a colpi di zoom e primi piani. Riesce discretamente nel suo ruolo anche il (poco) più noto William Mapother, a cui si chiede quell’unica espressione che lo accompagna dall’inizio della sua non brillantissima carriera e la disponibilità di accontentarsi di un cachet inferiore ai 100 dollari al giorno. Cahill non sarà Lars Von Trier, ma questa prima opera cinematografica è un esordio di tutto rispetto.
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