Tra il dire e il fare c’è di mezzo il cinema
“Di buone intenzioni è lastricata la strada dell’inferno” recita il celebre detto; e anche la strada del brutto cinema, aggiungiamo noi dopo aver visto La macchinazione di David Grieco, il quale è stato certamente mosso dalle intenzioni più genuine e giuste nel voler raccontare gli ultimi tre mesi di vita di Pasolini, il suo rapporto con Pino Pelosi e soprattutto nel voler sostenere la tesi dell’omicidio politico e del complotto.
Soprattutto quest’ultimo punto lo rende un film a tesi, e fin qui nulla di male, pur con i limiti propri di operazioni del genere. Siamo però ancora nel territorio, appunto, delle intenzioni. Attraversando il mare che separa il dire e il fare e sbarcando nel campo dei risultati, il film lascia abbastanza interdetti, da qualsiasi punto di vista lo si affronti; non basta infatti un buon Massimo Ranieri nella parte dell’intellettuale a salvare l’opera. Anche sorvolando sul dilettantismo di fondo del linguaggio e sull’estetica da fiction televisiva del peggior tipo, si cade in più di un’occasione nel ridicolo involontario. Come quando, nel momento più “scult”, Pasolini entra per qualche secondo in una specie di Matrix in cui vede il futuro della folla schiava degli smartphone con codici informatici sullo sfondo. Però, tra il mal gestito gioco dei piani temporali e scelte stilistiche di cui non si capisce bene la ragione (il bianco e nero, sgranato, con cui iniziano alcune scene), la colpa più grande del film è proprio nella sua sostanza “storica”: un po’ perché il naturalismo esasperato e a tratti grottesco è gestito in modo tale da rendere il mondo delle borgate finto e i suoi personaggi poco più che macchiette (stessa sorte capitata alla rappresentazione degli un po’ vaghi poteri forti), ma soprattutto perché Grieco non spiega e a malapena racconta: preferisce la (nelle intenzioni) “pomposità” declamatoria alla chiarezza e alla compattezza nell’esposizione della tesi del complotto, tanto più necessarie per un evento e per un periodo in cui i confini tra dietrologia e verità storica non sono ben definiti, col rischio perciò di cadere nel complottismo “un tanto al kilo”. Trappola che Grieco voleva evitare, ma in cui il film cade. Pesa da questo punto di vista anche la rappresentazione quasi “cristologica” – in particolare verso il finale – di Pasolini, più vicina al santino da sepolcro imbiancato che alla complessità che il pensiero e la vita (e la loro unione) del poeta avrebbero richiesto anche in un racconto a tesi come questo. Un film in cui tutto è sbagliato e in cui tutto stona. E dispiace sinceramente per il regista (aiuto regista e amico di Pasolini, tra i primi ad arrivare all’Idroscalo), così come per una possibile (o probabile, come preferite) verità che avrebbe meritato ben altro palcoscenico.
La macchinazione [id., Italia/Francia 2016] REGIA David Grieco.
CAST Massimo Ranieri, Alessandro Sardelli, Libero De Rienzo, Roberto Citran, Matteo Taranto, Milena Vukotic.
SCENEGGIATURA David Grieco, Guido Bulla. FOTOGRAFIA Fabio Zamairon. MONTAGGIO Francesco Bilotti.
Biografico/Storico, durata 100 minuti.