Architettare il banale
Una delle caratteristiche più ricorrenti dei film di Atom Egoyan è quella di indurci quasi sempre a una sorta di sospensione del giudizio nei confronti della qualità di ognuno di essi. La potenza del racconto si libera a piccole dosi e non si comprende mai con facilità se quelle narrate siano storie − per ciò di cui vogliono parlarci − effettivamente efficaci o meno. Si rimane come intontiti e si ha sempre l’impressione di aver assistito alla più banale delle vicende.
Poi, però, ci si accorge che quello strato superficiale racchiude profondità ben più architettate. Succede anche in questo The Captive, che ci racconta di un padre alla ricerca della figlia rapita da una misteriosa setta di pedofili. Il film è costruito come fosse un puzzle (puzzle che tra l’altro appare materialmente in una scena, come a volerci mostrare che di lì in avanti sarà tutto un gioco votato alla ricomposizione dell’intera vicenda), con continui salti temporali e numerose ellissi, ma nonostante questo con una linearità che tende ad appiattire sia la forma che la sostanza dei contenuti. A un certo punto, tuttavia, ci rendiamo conto che quegli “schiacciamenti” di senso fanno parte di un disegno più ampio e cioè della necessità di comunicarci un’immobilità alla quale nessuno dei personaggi presenti può sfuggire. I flashback e i flashforward sono infatti collocati nell’arco di otto anni, e sebbene passi un bel po’ di tempo tra un episodio e l’altro, gli avvenimenti, prima della risoluzione finale, sembrano ripetersi sempre allo stesso modo. Non a caso l’elemento in assoluto più ricorrente è la neve, che non scompare praticamente mai, rendendo il paesaggio sempre simile a se stesso e riflettendo metaforicamente la condizione esistenziale di ognuno dei personaggi. La sensazione principale è dunque quella di trovarsi di fronte a un’opera che ci parla dell’impossibilità di contrastare la Storia, il suo procedere, il suo evolversi, perché nella rappresentazione insistita di certe ingenuità e minuzie relative agli eventi che si susseguono si può riuscire a intravedere l’universale nel particolare. Il puzzle, comunque sia, alla fine si ricompone, anche se con qualche imprecisione strutturale, come se ci fossero dei pezzi uguali o come se ne mancasse qualcuno. Lo sguardo però è quello sempre lucido, tipico di Egoyan, che costruisce così un thriller desaturato nel quale lo spettatore conosce praticamente fin da subito la maggior parte dei dettagli e dove la più grande sorpresa è quella – nemmeno tanto banale − di riuscire a farci capire l’urgenza di non dover comprendere sempre e necessariamente l’assurdità di ogni atteggiamento emotivo.
The Captive – Scomparsa [The Captive, Canada 2014] REGIA Atom Egoyan.
CAST Ryan Reynolds, Scott Speedman, Rosario Dawson, Kevin Durand, Bruce Greenwood.
SCENEGGIATURA Atom Egoyan, David Fraser. FOTOGRAFIA Paul Sarossy. MUSICHE Michael Danna.
Thriller, durata 112 minuti.