Studio Universal, lunedì 19 dicembre, ore 21.20
Cadere, per poi risollevarsi
Conoscendo il cinema di Billy Wilder, si è abituati ad alternare al dramma impegnato la commedia più brillante e dissacrante, senza interruzioni di qualità. Ogni tanto però capita anche ai migliori di inciampare: nel caso specifico si tratta de Il valzer dell’imperatore, film del 1948 a metà tra commedia sentimentale e musical.
Ambientato nell’Austria dei primi anni del Novecento, è la storia di una lotta ai pregiudizi e alle differenze tra classi da parte di un rappresentante di grammofoni americano e una duchessa austriaca, e dei loro rispettivi cani, per poter essere felici insieme. Il paragone tra la storia umana e quella canina dovrebbe essere il pretesto comico per far indovinare l’affetto che nasce gradualmente tra i due protagonisti, ma questo corrispettivo risulta troppo insistito e i due animali finiscono per rubare la scena ai padroni, troppo scontati e stereotipati (lui è il classico americano considerato fin da subito una minaccia alla rigida tradizione, lei è una donna determinata ma sola e pronta al qualsiasi follia per il vero amore). Nonostante il regista stesso definisca questa pellicola come una delle sue meno riuscite, si riesce comunque a trovare uno dei suoi famosi tocchi da maestro: psicoanalizzare la cagna come se fosse una paziente in cura dal dottor Freud, poiché ha preso in forte simpatia un povero bastardino senza pedigree che l’ha trattata male. Col passare degli anni nell’immaginario collettivo si sono fissate tante immagini ricollegate al cinema di Wilder: dalle gambe scoperte della Monroe (Quando la moglie va in vacanza), alle calze verdi di Shirley MacLaine (Irma la dolce), fino alla lenta discesa dalla scala di Gloria Swanson (Viale del tramonto) o a Jack Lemmon che scola gli spaghetti usando una racchetta da tennis (L’appartamento). Qui se proprio è necessario ricordare qualcosa, invece che alle prevedibili azioni dei protagonisti è meglio pensare al baciamano fatto dal cane, pazzo d’amore per la bella barboncina nera. Nemmeno le parti cantate e ballate riescono a scolpirsi nella mente dello spettatore, appiattiscono il film essendo troppe e troppo lunghe, relegate ad elemento di contorno quando sono dettagli che richiedono l’intera scena. La grande stagione delle commedie deve ancora arrivare e un piccolo errore è perdonabile, soprattutto se si pensa alle future perle regalateci dall’artista capace di reinventarsi e di strapparci una riflessione o un sorriso anche nella battuta finale: bisogna aspettare ancora undici anni prima del memorabile “Beh, nessuno è perfetto!”.