Un passo avanti
Quando Il diavolo è femmina uscì, lasciò freddi sia pubblico che critica, ottenendo reazioni spiazzate e non esaltanti. La tiepida accoglienza era dovuta al fatto che il film di Cukor, interpretato dalla coppia Katharine Hepburn-Cary Grant al massimo della forma, con la diva nella parte del leone, era effettivamente una commedia strana per i canoni dell’epoca.
Sylvia Scarlett affronta in tono esplicito quello che nelle commedie di quegli anni era detto tra le righe, nascosto da una frivolezza di facciata e nelle pieghe dei dialoghi, e rende evidente anche la tragicità e il dramma di fondo di molte commedie sofisticate, soprattutto di quelle dirette dallo stesso Cukor negli anni precedenti (Pranzo alle otto). Nel film infatti la tragicità non è filtrata dal brio delle situazioni e dall’immediatezza della trama, ma in più di un momento diventa il tono dominante (su tutte, la scena del ritrovamento del padre morto, con il cadavere messo in chiara evidenza). Il diavolo è femmina è quindi per questi punti di vista un’opera avanti con i tempi, che palesando certe caratteristiche nascoste, ma fondamentali, della commedia americana di quegli anni, ne costituisce anche un passo in avanti, quasi un superamento. A partire dalla rappresentazione dell sfondo sociale: se l’eredità della recente depressione economica era la convitata di pietra delle commedie di quella stagione, in Sylvia Scarlett la povertà e le sue conseguenze, come il vagabondaggio e i piccoli crimini obbligati, sono chiaramente mostrate, diventando anche motori della trama. Ci sono anzi accenni se non di uno scontro di classe perlomeno di un’evidente contrapposizione, moderata dal lieto fine con l’innamoramento tra Silvya e il pittore, che assume però anche significati metaforici. Il pittore può rappresentare la borghesia progressista protagonista del new deal, in un inedito patto con i “poveri” rappresentati da Sylvia; dall’altro lato, la classe benestante superiore, egoista, quella descritta nelle pagine di Scott Fitzgerald, convinta di sopravvivere al dramma di quegli anni – ma che in realtà stava per essere cancellata dalla storia – nel film è rappresentata da Lily, la fidanzata del pittore, sconfitta sentimentalmente e seppellita nel finale dalla fragorosa risata del personaggio interpretato da Cary Grant. Anche le altre due tematiche portanti, la finzione che regge e controlla la vita di tutti i giorni e il gioco tra i sessi, sono esplicitazioni di canoni fondanti della commedia, della sophisticated come della screwball. Il diavolo è femmina non è forse in assoluto il film migliore di quella stagione del cinema brillante hollywoodiano, ma è quello che appare più moderno, e che, insieme alla comicità sfrenata di Susanna! di Howard Hawks, ha superato meglio la prova dei decenni che passano.
Il diavolo è femmina [Sylvia Scarlett, USA 1935] REGIA George Cukor.
CAST Katharine Hepburn, Cary Grant, Brian Aherne, Natalie Paley.
SCENEGGIATURA Gladys Unger, John Collier, Mortimer Offner (tratta dal romanzo The Early Life and Adventures of Sylvia Scarlett di Compton MacKenzie). FOTOGRAFIA Joseph H. August. MUSICHE Alberto Colombo, Henry Fragson, John Glover-Kind, Roy Webb.
Commedia/Sentimentale, durata 95 minuti.