Cinema d’altri tempi
È una scommessa vinta, The Artist, non un banale pastiche postmoderno, ma un film sul cinema che rinuncia quasi interamente ai dialoghi, per abbandonarsi al piacere puro della narrazione per immagini.
Grazie a due attori protagonisti perfetti, il fotogenico Jean Dujardin e la deliziosa Bérénice Bejo, il film coinvolge facilmente il pubblico in una storia romantica di ascesa e caduta, volutamente tradizionale, ambientata negli anni del passaggio dal muto al sonoro, con un amore per il cinema che traspare da ogni fotogramma, senza farsi mai nostalgia compiaciuta e fine a se stessa.
Tutto ricrea il fascino del cinema d’altri tempi, in The Artist, dai titoli di testa, alle didascalie, dalla splendida fotografia di Guillaume Schiffman alle musiche di Ludovic Bource, fino al formato in 4/3 e alle aperture e chiusure a iris. Si sprecano omaggi e richiami ai grandi del muto, da Murnau a Chaplin, e non mancano neppure i numeri di tip tap, à la Fred Astaire. Lo spettatore, così, si ritrova catapultato nella Hollywood degli anni Venti e Trenta, piacevolmente sorpreso nel ritrovare nel 2011 sul grande schermo volti, pettinature e abiti in bianco e nero, ma, allo stesso tempo, apparentemente così reali, come certi sogni bicromi. E mirabile è l’utilizzo del sonoro, dei rumori, nella sequenza onirica, in cui ben si manifesta il dramma di Valentin, la star del muto sul viale del tramonto interpretata da Dujardin, di non poter parlare sullo schermo diventato sonoro, tema già anticipato nell’incipit – il film nel film dove l’attore, torturato, in una didascalia dice proprio “non parlo”. Molto riuscite anche le allucinazioni di Valentin, che, anche a causa del suo alcolismo, vede se stesso rimpicciolito e la sua ombra prendere vita, abbandonarlo.
È un film sull’illusione, The Artist. Sulla splendida illusione fatta di ombre che è il cinema, innanzitutto. Sull’illusione dello spettatore di essere seduto in una sala cinematografica negli anni Venti. Frutto di una preparazione maniacale, davvero ben curato dal punto di vista tecnico, il film di Hazanavicius è una boccata d’aria nel panorama asfittico del cinema contemporaneo. Un gioiellino di splendente vivacità, divertente, ritmato e ambizioso come forse solo i film di una volta riuscivano a essere, coniugando gusto popolare e valore estetico, raccontando storie d’amore, di vita, poco realistiche e a lieto fine, eppure così appassionanti.