L’etica al tempo della crisi
Mosse vincenti, recentemente visto anche al Torino Film Festival, è l’opera terza di Thomas McCarthy, che si dimostra abile narratore di racconti morali agli antipodi della facile commozione e del patetismo.
C’è l’avvocato Mike Flaherty, che allena la squadra di lotta libera della scuola e che nasconde alla famiglia i problemi finanziari: per arrotondare decide di incassare l’assegno mensile previsto prendendo in custodia un suo anziano cliente, Leo, affetto da demenza senile e abbandonato dalla figlia scapestrata; Leo vorrebbe solo starsene a casa sua, invece Mike senza complimenti lo lascia in casa di riposo spacciando la soluzione come decisione del giudice. C’è Kyle, nipote di Leo, taciturno ma “vissuto”, che, in fuga dalla madre, spunta per cercare il nonno, e che Mike accoglie in casa più volentieri quando scopre che è un ex-campione di lotta libera. Dopo le diffidenze iniziali (della sig.ra Flaherty soprattutto) rapidamente cresce un legame tra padre e figlio in prestito, ma anche con madre e sorelline putative, destinato a complicarsi con l’arrivo in scena dell’incosciente vera genitrice.
Prodotto da Fox Searchlight Pictures, e dunque non strettamente collocabile nell’ormai ampia e nebulosa categoria del cinema indie, Mosse vincenti è un film totalmente onesto: nel congegno narrativo, nel descrivere le umane debolezze, nel suo situarsi a pieno titolo entro i confini della commedia, soprattutto intorno alle caratterizzazioni dei personaggi, come Terry (Bobby Cannavale) e Stephen (Jeffrey Tambor). Quella raccontata è un’America “media”, comune, con la crisi a fare da sfondo – crisi economica, familiare, di responsabilità – e il perfetto volto di Paul Giamatti a rappresentare la persona perbene che cade nell’errore. La facilità con cui la menzogna viene protratta rimane sullo sfondo abbastanza a lungo da permettere uno sviluppo convincente del legame tra i personaggi, e la tematica sportiva muove alcuni suoi topoi abituali – la crescita interiore, l’emergere della propria autoconsapevolezza, la solidarietà adolescenziale – senza prendere il sopravvento sul resto.
Gli esseri umani sono egoisti e sbagliano, talvolta imparano dai propri errori e talvolta no, come ci insegna il (lieto) finale in cui i nodi vengono al pettine e si districano solo dopo un bel po’ d’impegno. Nel frattempo si sottolinea, come già in The Station Agent e L’ospite inatteso, che il concetto di famiglia ha labili ed estensibili confini, oltre il sangue e la genitorialità ufficiale; questione, quest’ultima, che fa sempre piacere vedere espressa con criterio.