Il circo di carta di Luca Dipierro e Father Murphy
Luca Dipierro gira cortometraggi con la tecnica “passo uno”, riprendendo figure pressoché bidimensionali e simili a marionette, fabbricate col tessuto delle copertine “grosse” dei libri (al pari degli scenari nei quali agiscono, fatta eccezione per qualche sfondo ottenuto con terra, sassi o col muro di casa).
Sembra tutto enorme, ma in realtà questi esseri grotteschi prendono vita sul tavolo da lavoro di Dipierro come i giochi di un bambino. L’artista italiano, che da anni vive a Portland (Oregon), sostiene di ispirarsi al mondo delle favole, ma i suoi personaggi sono spesso malamente nudi, si mutilano di continuo, cagano, pisciano, vivono situazioni assurde (compiendo spesso gesti altrettanto assurdi) a metà strada tra un racconto di Kafka e un film di Jodorowski. A seconda di ciò che si muove nascosto nell’inconscio, le nostre reazioni potrebbero essere diverse, ma è forse qui che entrano in gioco i Father Murphy, a proteggere e covare il seme dell’incubo, nella veste di autori dal vivo (insieme a Dipierro, improvvisato percussionista) del sonoro di queste animazioni che ho potuto godermi presso quella struttura favolosa che è il Visionario di Udine, col vantaggio dell’audio alla massima potenza a investirmi fisicamente prima che psicologicamente. Le due parti hanno già collaborato per alcuni videoclip, che posso ri-ammirare anche in questa rassegna (anche se direi in versione rimaneggiata). Per chi non lo sapesse, i Father Murphy sono uno dei gruppi più importanti del sottosuolo italiano, il cui valore è riconosciuto a livello internazionale. Il loro sound, sin dall’inizio molto peculiare, è diventato con gli anni sempre più nero e funebre (uno scuro cabaret psichedelico e industrial, per parafrasarli), adattandosi anche alla loro trasformazione da trio a duo. Ora, infatti, sono senza batterista, quindi entrambi usano percussioni ridotte all’osso in modo molto primitivista per accompagnare chitarra e synth, e questo in qualche modo li allinea all’approccio “punk” del loro amico Dipierro: durante ogni breve episodio di questa rassegna, non a caso, la sensazione che rimane è quella di aver visto qualcosa di ancestrale e macabro, che agisce su memorie sepolte non ben decifrabili. Non è una novità che una band italiana si cimenti con la sonorizzazione di un film muto, penso ai Giardini di Mirò o agli OvO, ma questa volta dietro a ciò a cui assistiamo c’è un vero e proprio sodalizio e una reale comunione di intenti, impossibile da replicare quando magari come negli esempi citati, sei costretto a rapportarti con il lavoro fatto e finito di un regista già morto da decenni. Pazzesco come una pratica come il commento live di una pellicola, in uso cent’anni fa perché la tecnica non era progredita, possa ritornare in auge. Anche questa volta ho imparato qualcosa (se voi invece volete saperne di più sui Father Murphy, andate a leggere che se ne dice sulla webzine per la quale scrivo).