SPECIALE ORSON WELLES
L’inferno e il giusto
Quante volte nelle recensioni cinematografiche si legge dell’uso espressivo del grandangolo? Molte, moltissime. Ma se si vuole trovarne un esempio magistrale, perfettamente aderente al contenuto, per nulla sovrabbondante ed eccedente, mai formalista tanto da sembrare naturale e necessario, bisogna cercarlo ne L’infernale Quinlan.
Qui il grandangolo è lo sguardo stupito dello spettatore di fronte a personaggi cui stenta a credere; è l’occhio morale della giustizia che ritrova nella prassi poliziesca la sua aberrazione; è l’assoluta creatività wellesiana che confonde e piega i canoni con una libertà così disarmante che pare ovvia; è la visione del mondo di Quinlan che, figura suprema nel carisma e nell’aspetto, conosce la legge e conosce l’uomo e sa come renderli malleabili. Sa piegare senza spezzare ogni intenzione, progetto, trama, intravedendone le conseguenze e il disegno finale, e riconducendo tutto a un punto di fuga lontano e invisibile ai più. Lì, in quel punto, ci sono i suoi occhi stanchi, consunti, limpidi, purificati da sovrastrutture. Davvero Quinlan è infernale se con inferno indichiamo il luogo di chi ha deviato dalla via tracciata, ma il suo male, la sua risolutezza, la sua tragicità claudicante non lo rendono vile né odioso, non lo rendono negativo. Il suo male, paradossalmente, è giusto e la sua ostinazione nel perseguire tale giustizia trasfigurata è viscerale, esistenziale. Tutto ciò lo rende grande, imponente nella sua miseria, trascinante nel suo sconforto, in molti hanno detto shakespeariano. La trama è quasi banale. Una bomba messa su un auto in territorio messicano esplode oltre il confine statunitense, il capitano Quinlan e l’ufficiale Vargas portano avanti le indagini entrando in un dedalo di intrighi malavitosi e cercando di scaricare colpe e di trovarne laddove non ce ne sono, fabbricando prove e interpretando a piacere ogni concetto di legalità. La Universal, fermandosi alla trama rimaneggia, riduce e rigira alcune scene, rilasciandolo come un b-movie, infischiandosene, con la leggerezza di un Quinlan, del lavoro superbo di Welles e collaboratori. Ma quanto è ugualmente visibile, nella versione più vicina all’originale del 1998, quel lavoro di mimesi e immedesimazione che gli attori sotto la guida di Welles portarono avanti durante settimane di prove e di continuo riadattamento della sceneggiatura. Ogni scena è di un’immediatezza bruciante, schietta. Come la morte di Quinlan che scivolando nel fiume riemerge a braccia aperte, come un crocifisso, un poliziotto e Tanya (Dietrich) assistono, elogiando il suo deviato senso della giustizia ugualmente giusto. La sua morte è un sacrificio utile a chi odia le deviazioni, a chi sa seguire solo il percorso tracciato.
L’infernale Quinlan [Touch of Evil, USA 1958] REGIA Orson Welles.
CAST Orson Welles, Charlton Heston, Janet Leigh, Marlene Dietrich.
SCENEGGIATURA Orson Welles. FOTOGRAFIA Russell Metty. MUSICHE Henry Mancini.
Noir, durata 112 minuti.