53. Viennale – Vienna International Film Festival, 22 ottobre – 5 novembre 2015, Vienna
Battito animale
In quanti modi è possibile declinare una rassegna cinematografica? Per definizione, dicesi retrospettiva un ciclo di proiezioni che illustra l’evoluzione di un artista, di un movimento “culturale”. Ed è, in effetti, ciò a cui siamo abituati: nei festival vengono prese in considerazione le carriere di registi e di attori, oppure di generi e sottogeneri seminali.
A volte ci si può imbattere in una serie di restauri importanti per il curatore della sezione, come accade ad esempio con i Classici della Biennale. La proposta della Viennale – di cui vale la pena parlare anche a festival finito, perché si svolge autonomamente dal 16 ottobre al 30 novembre – allarga a dismisura il ventaglio, abbracciando in pratica tutta la storia del Cinema: “Animals” si impone come una “piccola zoologia delle immagini in movimento”, un dialogo fra natura e tecnologia interpretabile nei modi più disparati. Nelle parole del selezionatore Akira Lippit, la mostra “non accampa alcuna pretesa di completezza, ma è utile per comprendere come il mezzo cinematografico fin dalla sua preistoria abbia preservato la vita animale”. Fra i 47 lungometraggi spicca Gli uccelli di Hitchcock, punta di diamante anche in virtù della presenza viennese della protagonista Tippi Hedren e titolo spartiacque: i volatili di Sir Alfred sono un elemento subordinato che diviene protagonista, un comprimario trascurabile che si tramuta in nemico da debellare. Le opere di più facile richiamo sottolineano come la visione ferina si sia trasformata nel corso dei decenni: nel dittico formato da Tarzan l’uomo scimmia (1932) e da King Kong (1933) l’animale è l’uomo, perché contribuisce alla crescita di un essere “selvaggio” abbandonato a sé e crea un’immedesimazione tale da veicolare una riflessione sulla bestialità di cui siamo capaci; ma basta spostarsi qualche anno più là per incrociare lo straziante Bambi (1942) e Torna a casa, Lassie! (1943) e assistere ad un punto di vista che fa coincidere un cerbiatto e un esemplare di collie con l’ingenuità (vagamente ricattatoria) e la totale fedeltà verso l’uomo. Probabilmente l’espressione più stimolante e degna di menzione della dicotomia umano-disumano viene dalle metaforizzazioni, ancora visibili nonostante la non stringente attualità: è impossibile non leggere nella devastazione del primo eccezionale Godzilla (1954) uno spauracchio della Guerra Mondiale da poco conclusasi, così come pare evidente la critica alla presunzione e all’onnipotenza umana nell’originale Il pianeta delle scimmie (1968). Fra irresistibili animali antropomorfi e parlanti (Babe va in città, Fantastic Mr. Fox), cani e corvi neorealisti (Umberto D., Uccellacci e uccellini) e bizzarre mutazioni (La mosca), sono tuttavia come sempre i documentari a lasciare il segno, a dare senso ad una retrospettiva che raccoglie più animali di quanti la nostra memoria possa accogliere. Koko, il gorilla che parla (a metà fra doc e finzione), Animal Love di Seidl, Grizzly Man di Herzog e Cane Toads di Mark Lewis parlano di noi, di un battito animale che è il nostro e di cui – cinematograficamente ed esistenzialmente – non possiamo fare a meno. Il cinema e l’uomo non sono nulla senza gli animali… compresi i meme di Facebook e i filmati sui gattini di Youtube.