Eden da avanspettacolo
Celebrazione edonistica della vita, ludus carnevalesco ante-mortem, cronaca semiseria di un amore torbido e compulsivo: quello di Claudine per il trittico di Bosch e di Chris per la donna che, a causa di un cancro alla gola, sta per lasciare l’esistenza terrena per un misterioso altrove.
Plasmato sul modello della drammaturgia occidentale, il secondo lavoro di Majewski acconsente alla forzata convivenza tra le due parzialità che furono le metà complementari anche del melodramma italiano: ragione e passione. Dove c’è l’una c’è l’altra, e mai, fin dalle conflittualità tra Antigone e Creonte, le due si sono allontanate. Se anticamente la lotta albergava nella natura stessa delle cose, da Euripide in poi l’umana finitezza è stata svelata nel tormento dell’anima. Ne Il giardino delle delizie “vivente”, modellato sul trittico di Hieronymus Bosch, è attraverso il simbolismo (e)scatologico – tra misteri del corpo e dello spirito − che acquistano plasticità ratio e passio, sovraesposte al giudizio dello spettatore tramite il filtro del girato amatoriale. Giunta a Venezia, una coppia inglese si filma nelle pose studiate delle allegorie del “giardino” mentre le condizioni di salute di Claudine si aggravano sempre di più. Il viaggio in Italia dell’artista (passione) e dell’ingegnere (ragione), l’una intenta a esorcizzare la morte col piacere dell’art for art, l’altro pronto ad assecondare le sue ultime volontà alternandole a lezioni di simmetria navale, si trasforma in festa stultorum a carattere privato. Si tratta di un requiem filmato anziché intonato, lungo le direttrici spaziali di ponti, canali e scorci di Venezia e il tempo “senza tempo” della ripresa amatoriale. Durante il soggiorno i due filosofeggiano, mentre le loro pantomime ricreano il paradiso dipinto da Bosch nel suo quadro più famoso: si chiudono in una valigia per imitare gli amanti nella conchiglia, improvvisano un balletto nudi in una fontana e si avvolgono in un telo di nylon come la coppia racchiusa in una misteriosa bolla tra le tante scene del quadro-visione. Chris e Claudine diventano essi stessi strumenti d’arte e d’amore, predicando l’autoesclusione dal consorzio umano. Come il quadro di Bosch il film è una costellazione di simboli reinterpretati in personam che ambiscono a ricostruire l’universalità dell’arte all’interno delle miserie del singolo, tra soliloqui e sofismi che irridono la morale comune inneggiando ad una liberazione laica dell’individuo. Majewski non può in alcun modo prescindere dal valore catartico e cattedratico dell’arte, ma se ne discosta per celebrare il trionfo estetico della visione eretta a paradigma. Rimane così in superficie il traboccare di forme, pose e colori che non possono che essere quelli “della passione” e di una ragione piegata al terrore cieco di una morte annunciata.
Il giardino delle delizie [The Garden of Earthly Delights, Gran Bretagna/Italia/Polonia 2004] REGIA Lech Majewski.
CAST Claudine Spiteri, Chris Nightingale, Barry Chipperfield, Maria Novella Martinoli.
SCENEGGIATURA Lech Majewski. FOTOGRAFIA Lech Majewski. MUSICHE Lech Majewski, Józef Skrzek.
Drammatico, durata 103 minuti.