SPECIALE CINEMA NEOREALISTA
Sulla vita post-neorealista
“È uno dei primi esempi di cinema puro. Niente più attori, niente più storia, niente più messa in scena, cioè finalmente nell’illusione estetica perfetta della realtà: niente più cinema”.
Riassaporando le celebri parole del critico francese André Bazin, realizziamo quanto sia superficiale spendere quasi settant’anni dopo dalla sua uscita qualsiasi asserzione ragionata su Ladri di biciclette. Quando si affronta la storia del neorealismo italiano, il mondo accademico si spacca in due: da un lato vi è questa forte nostalgia tipicamente italiana verso ciò che fu, verso quel perenne sentimento del “si stava meglio quando si stava peggio”. Dall’altro, contemporaneamente, c’è una sorta di insufficienza verso la reiterazione nauseabonda del passato, con una propensione alla ricerca del nuovo e del diverso che così tanto ci ossessiona in tutti gli aspetti della vita postmoderna. Se osserviamo l’infelice storia di Antonio Ricci, protagonista del pluripremiato capolavoro di Vittorio De Sica, capiamo quanto lontano – non solo temporalmente – ne siamo collocati. Lamberto Maggiorani interpreta a dir poco magistralmente un povero attacchino comunale, il cui unico bene di proprietà è una sudata bicicletta che gli permette di lavorare e quindi di mantenere moglie e due figli. Quando il mezzo di trasporto gli viene stupidamente sottratto sotto il naso, il mondo gli crolla addosso. Una location, quella del dopoguerra romano, tutta da ricostruire. Una situazione sociale che è, a discapito del gran vociare di questi anni di crisi, distante anni luce dal nostro attuale concetto di povertà. Unico ed estremamente interessante fil rouge con alcune cinematografie contemporanee lo ritroviamo nella tipologia di linguaggio che, dopo gli innovativi esperimenti neorealisti, si è reso spesso omaggio ai grandi nomi che ne hanno preso parte. Una sempre più sovente ricerca di un close up ossessivamente ancorato alla realtà, una voglia di spontanea espressione e d’immediata ricezione. Concentrandoci sul filone multimediale dell’ultimo decennio, molte sono le più disparate tracce percepibili su questa scia. Dal primo orrorifico Rec improntato allo stile del mockumentary, al drammatico Amour che affronta in maniera struggente anche le più piccole tensioni quotidiane, passando per la commedia televisiva improntata al reality di Modern Family, arrivando perfino alla saga fantasy di Hunger Games, che altro non è che un’allucinata manovra interpretatoriale del mondo attuale. È in questi termini che, a parere di chi scrive, dovrebbero essere riapprocciate le grandi opere neorealiste: non tramite, come direbbe l’Alvy Singer di Woody Allen, morbose e retoriche “masturbazioni intellettuali”, ma con arguti e freschi tentativi di capire come quella “bicicletta” sia rintracciabile nelle più variegate e affascinanti espressioni dei nuovi media.
Ladri di biciclette [Italia 1948] REGIA Vittorio De Sica.
CAST Lamberto Maggiorani, Lianella Carell, Elena Altieri, Enzo Staiola, Vittorio Antonucci.
SCENEGGIATURA Oreste Biancoli, Cesare Zavattini, Suso Cecchi d’Amico, Adolfo Franci, Gherardo Gherardi, Vittorio De Sica, Gerardo Guerrieri. FOTOGRAFIA Carlo Montuori. MUSICA Alessandro Cicognini.
Drammatico, durata 92 minuti.